Pier Paolo Pasolini alla prima proiezione del film «Accattone» al cinema Barberini. Roma, 22.11.1961 © Aldo Durazzi/Tutti i diritti riservati
Ecco Accattone che tanto rumore fece a Venezia e continua a fare; il primo film, nel senso pieno (soggetto sceneggiatura e regia), di Pier Paolo Pasolini, alla cui tematica il nostro più recente cinema s'era pur già largamente ispirato; ed esordio complessivamente felice, attestante non solo l'autenticità d'un regista, ma più in generale il vantaggio del far da sé rispetto al collaborare. Giacché questo film di Pasolini ha quello che troppo spesso mancava ai film pasoliniani: l'ultimo coraggio. E valga il vero.
Vicenda e personaggi, testualmente considerati, sono da prendere con le molle. Sottoprodotto (molto «sotto») del proletariato romano, «Accattone», è un giovane lenone che campa alle spalle della prostituta Maddalena. Un giorno gliela mettono in carcere; e il giovinetto si trova a risolvere il problema della disoccupazione. Si dà a cercare un nuovo sostegno e crede di averlo trovato in Stella, un'ingenua ragazza disposta per amor suo a battere il marciapiede. Disposta ma in realtà incapace, come troppo bene dà a vedere. Accattone (diamogli questo merito) non insiste; non solo, ma la reazione di Stella lo commuove tanto da ispirargli il desiderio di cambiar vita. Non è poi tanto cattivo questo disgraziato; anzi per questa sua flessione qualcuno vi ha trovato del pascoliano e persino del deamicisiano. Ma così stretto nella sua «arte», che cos'altro potrà fare? Cerca di lavorare in senso proprio, ma non ce la fa: la sua splendida natura di rifiuto sociale non glielo permette. Allora proverà a rubare, il che alla sua ingenua mente si presenta come un riscatto. Ma la polizia, avverta dalla gelosa Maddalena, lo apposta; e la sua prima impresa sarà anche l'ultima. Nel tentativo di fuggire è travolto da un autocarro e muore.
Questa la vicenda, calata in ambienti adeguati e fra cori adeguati, dove, s'intende, il gergo romanesco esulta (su un fondo musicale di Bach). E anche va da sé che tale materia abbietta è sentita goduta e imposta attraverso un orgoglioso compiacimento letterario che non ci risparmia lentezze insistenze divagazioni. Il regista non ha sfiorato questo mondo a lui caro, ma vi ha propriamente dato dentro, con gusto quasi più di pittore che di narratore. Infatti l'intreccio, con quel troppo di patetico, non è così saldo come il ritratto di Accattone (reso benissimo dall'interprete occasionale Franco Citti) e di ciò che gli fa da sfondo. Perché — e a questo si voleva venire — bisogna che. il film abbia un lievito poetico se allo spettatore imparziale quel ritratto e quello sfondo riescono veri e diciamo pure simpatici; se la loro giustificazione morale non occorre accattarla dall'esterno, attraverso gli sviluppi della storia, ma si presenta insita in loro, perciò stesso che sono veri. Dando sfogo al proprio temperamento, perseguendo non la denuncia delle classi diseredate ma la loro contemplazione estetica, il letteratissimo Pasolini ci ha dato un film, non certo senza difetti, ma vivo, e vivo proprio in quei toni che il cinema pasoliniano aveva, con l'abuso, più falsificato. Gli stracci e l'etica dei ragazzi di vita, la stessa vociferazione romanesca, qui non danno noia. Come non dà noia il «fumetto» charlottiano che a un certo punto s'insinua fra tanti spregi. Gli è che l'asse del film, la pittura di quel mondo, è solida e sincera, e che una volta tanto la materia non s'è lasciata cercare dal regista ma gli si è imposta. Che quella materia sia fango importa meno del fatto che il regista abbia spesso saputo toglierne oro.
Non si potrebbe poi non tenere conto che Accattone è un'opera prima e che se questo gli scusa abbondantemente le poche oscillazioni, gli cresce il merito di una condotta più ancora che sicura, spavalda; d'una padronanza pressoché assoluta di linguaggio. Senza giungere a dire che il Pasolini regista sia più bravo del Pasolini narratore (a Venezia lo disse qualche scrittore, ma era un complimento interessato), pagine come la «spaghettata delle beffe», come certe camminate di Accattone per le squallide borgate o il suo sogno premonitore di morte, attestano, con la polifonia dei dialoghi, una genuina vena di narratore per immagini. Ottimo operatore è stato Tonino Delli Colli, e fra gl'interpreti sono da citare anche Silvana Corsini, Adriana Asti, Paola Guidi e Renato Capogna. Detto questo del film, è inutile aggiungere che il chiasso che gli si fa intorno, prò o contro è spropositato: proiettato con le necessarie cautele, Accattone non mette in pericolo né la morale né la patria; e d'altra parte non ci dà nemmeno, così tout court, il Bergman italiano.
1. p. «Accattone» di Pasolini: film coraggioso e poetico sullo schermo su La Stampa, 25 novembre 1961, p. 4.
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