Pier Paolo Pasolini a casa sua di via Giacinto Carini, Monteverde, Roma, 12 novembre 1960 © Giuseppe Palmas/Archivio Palmas/Tutti i diritti riservati
Nel giugno del 1962 si verificò un episodio di minaccia neofascista antisemita dentro e intorno alle strade dell'ex ghetto di Roma, al Portico d'Ottavia – le stesse strade che avevano visto il 16 ottobre 1943 il Rastrellamento- di oltre mille ebrei di Roma per la deportazione ad Auschwitz. L'episodio del 1962 fu di per sé inquietante, anche se non privo di precedenti, ma divenne doppiamente significativo quando i giovani ebrei affrontarono la violenza e decisero di proteggere e riconquistare le strade del ghetto (rifiutando lo stereotipo del vittimismo passivo che aveva diffusosi insidiosamente dopo l'Olocausto).
Pasolini, che aveva vissuto nel ghetto tra il 1950 e il 1951, a Piazza Costaguti, nel suo primo trasferimento a Roma, fu testimone di questo atto di resistenza ebraica, e Monologo sugli ebrei fu la sua risposta. Complessa è la riflessione di Pasolini sulla rievocazione della violenza fascista e dell'Olocausto e sulla reazione ad essa degli ebrei di Roma nel 1962. La poesia a volte riproduce l'analogia familiare dell'oppresso e dell'"altro", un topos potente, incantatore, anche se bidimensionale, con Pasolini che sogna un'alleanza globale tra i miserabili della terra, compreso lui stesso, gli ebrei, e tanti altri "altri".
Forse la vita comincerà
quando gli angeli della rassegnazione
– i poveri di spirito, i miti, i feriti,
gli infelici, gli Ebrei, i Negri,
i ragazzi, i prigionieri, i vergini,
i contadini, i popoli perduti
nel candore della barbarie,
tutti coloro che vivono consacrati
alla umiliante diversità,
commetteranno violenza.
[ … ]
Le fotografie
sono tranquille testimoni:
a Buchenwald, guardateli, se vivi,
come non hanno ancora imparato del tutto
la vita:
qualcuno ha ancora il coraggio
di sorridere … Guardatelo,
il fetido, piccolo Ebreo
scheletrito in un tanfo di feci,
addossato con indecenza ai compagni
di agonia, che ancora guarda
verso l’obiettivo, e ha un sorriso!
[ … ]
Guardateli, se morti,
non più un gesto di incertezza:
ognuno sa, subito, come stare.
[ … ]
Ah, le fotografie, ormai,
hanno tolto ogni dubbio, su questo!
L’Ebreo vivo a Buchenwald
ancora non sa, lui delicato
borghese, cos’è la borghesia:
e ha un sorriso, orribile.
Il termine “Buchenwald” era stato impiegato da Pasolini in molte delle sue poesie per evocare esplicitamente la tortura della vita nel “Lager”. Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta, Pasolini usa la parola “Lager” come un codice con il quale sottolineare gli orrori del capitalismo: «Siamo sempre alla nozione di campi di concentramento […]. Le borgate democristiane sono identiche a quelle fasciste, perché è identico il rapporto che si istituisce tra Stato e “poveri”: rapporto autoritario e paternalistico, profondamente inumano nella sua mistificazione religiosa». Quando il termine “Buchenwald” viene introdotto nei suoi scritti poetici, egli non vuole fare un riferimento esplicito al genocidio ebraico, anzi intende accennare a un campo semantico molto più ampio che possa rievocare così la violenza e l’ideologia proprie del genocidio nazista. Dunque, Pasolini non è tanto interessato alla definizione esatta di questi concetti, ma piuttosto alla forza che essi esprimono in qualità di immagini. “Buchenwald” è un termine ricorrente nella poesia pasoliniana, sin dal testo dedicato a Picasso nel 1953, «la luce della tempesta; i carnami | di Buchenwald, la periferia infetta», fino a La Resistenza negra (1961), in cui si legge «E forse si può definirlo meglio, questo concetto, se s’identifica l’Africa con l’intero mondo di Bandung, l’Afroasia, che, diciamocelo chiaramente, comincia alla periferia di Roma». Senza mai dimenticare la battuta «Ma che siamo a Buchenwald qua?» nel film Accattone (1961). [1]
[1] Martín Gutiérrez, S. (2022). Pasolini sceneggiatore. Il processo di scrittura dell’“Edipo re”. Finzioni, 2(3), 90–106. https://doi.org/10.6092/issn.2785-2288/15621
Pier Paolo Pasolini. Monologo sugli ebrei, 1962. Ora in Tutte le poesie, a cura di Walter Siti, 2 volumi (Milano: Mondadori, 2003), I, pp. 1345–46.
Per sapere più sul rapporto fra Pasolini e l'immagine degli ebrei: Robert S. C. Gordon, Pasolini as Jew: Between Israel and Europe’ in The Scandal of Self-Contradiction: Pasolini’s Multistable Subjectivities,Geographies, Traditions, ed. by Luca Di Blasi, Manuele Gragnolati, and Christoph F. E. Holzhey, Cultural Inquiry, 6 (Vienna: Turia + Kant,2012), pp. 37–58.
Anzi, Buchenwald, in funzione dal 1937, era a 8 km. da Weimar, dove nell'agosto 1942 Pasolini prese parte al raduno della gioventù europea! Davvero spudorato.
Pasolini era stato fascista - un fascista colto - fino al 1943, a Bologna aveva vissuto intensamente la vita dell'università epurata dai professori ebrei, aveva partecipato nel 1942 in Germania a un incontro di giovani intellettuali dei paesi dell'Asse, nella sua corrispondenza di quegli anni non c'è nessun accenno alle leggi razziali italiane né al violento antisemitismo dell'alleato nazista. Ma tutto questo gli è scivolato di dosso come acqua sul grasso, non ha mai sentito il bisogno di parlarne né di spiegare la sua veloce trasformazione da fascista a comunista, anzi, ha fatto risalire il suo presunto antifascismo a quando aveva sedici anni...Niente a che fare con le sofferte confessioni di Meneghello e con la sua autopunitiva partecipazione alla lott…