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Pier Paolo Pasolini nel Deposito d'Arte Presente a Torino (1968) © Teatro Stabile di Torino. Riproduzione riservata.

"Ho scritto quest'opera teatrale dal 1965 al 1974, attraverso continui rifacimenti, e quel che più importa, attraverso conti­nui aggiornamenti: si tratta, infatti, di una autobiografia. Quindi, man mano che passava il tempo, e tenevo l'opera inedita a causa dei continui rifacimenti - passava anche la mia vita, e si rendevano dunque necessari anche i continui aggior­namenti. Nell'estate del 1974 ho deciso di smettere. Con gli aggiornamenti, ma non con i rifacimenti (per cui l'opera è rimasta ancora per più di un anno inedita: chiudendosi così il decennio 1965-75). Nell'estate del 1974 ho scritto praticamen­te la lunga appendice. Che il lettore, se vuole, può però non leggere. L'opera finisce con la parole « ebbro d'erba e di tene­bre ». Poi nell'appendice ci sono ancora cose importanti (per me), ma la « fine » (la cui risonanza nel silenzio della « fine » è di solito lo stilema più bello dell'opera) è lì.

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L'Italia è un paese che diventa sempre più stupido e ignorante. Vi si coltivano retoriche sempre più insopportabili. Non c'è del resto conformismo peggiore di quello di sinistra: soprattutto naturalmente quando viene fatto proprio anche dalla destra. Il teatro italiano, in questo contesto (in cui l'ufficialità è la protesta), si trova certo culturalmente al limite più basso. Il vecchio teatro tradizionale è sempre più ributtante. Il teatro nuovo - che in altro non consiste che nel lungo marcire del modello del « Living Theatre » (escludendo Carmelo Bene, autonomo e originale) - è riuscito a divenire altrettanto ributtante che il teatro tradizionale. È la feccia della neoavanguardia e del '68. Sì, siamo ancora lì: con in più il rigurgito della restaurazione strisciante. Il conformismo di sinistra.

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Quanto all'ex repubblichino Dario Fo, non si può immaginare niente di più brutto dei suoi testi scritti. Della sua audiovisività e dei suoi mille spettatori (sia pure in carne e ossa) non può evidentemente importarmene nulla. Tutto il resto, Strehler, Ronconi, Visconti, è pura gestualità, materia da rotocalco. È naturale che in un simile quadro il mio teatro non venga neanche percepito. Cosa che (lo confesso) mi riempie di una impotente indignazione, visto che i Pilati (i critici letterari) mi rimandano agli Erodi (i critici teatrali) in una Gerusalemme di cui mi auguro che non rimanga presto pietra su pietra."

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Pier Paolo Pasolini, Porcile, Orgia, Bestia da stile, Garzanti, Milano (1979)

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