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1968. A dibattito la poesia di Pasolini "Il PCI ai giovani!"

La poesia di Pier Paolo Pasolini Il PCI ai giovani! è un'opera di letteratura, un contributo a una discussione culturale, o un semplice atto di provocazione politica? I destinatari (o i bersagli) di questa poesia sono i giovani studenti o gli intellettuali di mezza età? La settimana scorsa, accanto alla poesia di Pasolini, abbiamo pubblicato una discussione tra il poeta e altre personalità tali come Alberto Moravia, Goffredo Parise, Eugenio Montale, Guido Piovene o Franco Fortini. Ecco i loro interventi.




Moravia: Non doveva dire ciò che sentiva


Ho letto la poesia di Pier Paolo Pasolini e farei le seguenti osservazioni. Non mi piacciono i poliziotti; per una quantità di motivi ma il principale forse è che non ne ho bisogno e mi fa rabbia l'idea che si pensi che potrei averne. Non m'interessa la proprietà altrui, né privata né statale, e detesto il potere, so tenere a freno i miei istinti omicidi e, per il resto, credo nella ragione e nel cristiano (o buddista) amor del prossimo. Per questo i poliziotti mi sembrano di troppo (almeno per me) qui in Italia come in USA, come in URSS e dovunque.


Venendo alla poesia di Pasolini, vorrei notare un fatto: dopo Foscolo, dopo Carducci, dopo Pascoli, dopo d'Annunzio (a non voler parlare di Petrarca e di Leopardi) Pasolini è il solo poeta moderno italiano che abbia saputo fare della poesia civile. Altra novità geniale: Pasolini ha saputo fondere il decadentismo che è proprio della poesia moderna, con la protesta marxista. In altri termini ha fatto poesia civile di sinistra. Prima di lui, la poesia civile italiana era tutta di destra.


Pasolini e anche Foa trovano la poesia brutta. A me non pare brutta. Anzi pare bella. Certo, Pasolini ha fatto male a dire ciò che "sentiva". Dopo la mia intervista con gli studenti all'"Espresso", io avrei potuto scrivere le stesse cose, pressappoco. Non le ho scritte perché sono portato per natura a lasciare sbollire certi sentimenti. Non ho fatto altro durante gli ultimi quarant'anni. Ma è anche vero che un romanziere non dovrebbe mai dire subito e immediatamente quello che sente. Un poeta sì.


Pasolini ha detto pure alcune verità particolari inoppugnabili. È verissimo che gli studenti sono figli della borghesia e spesso ne parlano il linguaggio. È verissimo che sono, in fondo, anarchici. È verissimo che in loro e con loro la borghesia va contro se stessa. ê verissimo che hanno pochi e confusi rapporti con la cultura e che per questo danno sovente l'impressione di recitare con enfasi la loro parte di rivoltosi piuttosto che viverla con intima serietà.


A questo punto debbo, però, avvertire che dissento completamente da Pasolini nell'interpretazione che lui dà della rivolta studentesca. Forse egli si è lasciato trascinare a considerare soltanto gli studenti italiani, gli studenti, cioè, di un paese nel quale la borghesia ha sempre diffidato della cultura. Ma la rivolta studentesca va guardata nella sua totalità, nel mondo intero. Allora bisogna subito dire che è l'avvenimento più importante, più consolante e più positivo che si sia verificato in questi ultimi vent'anni. Ho detto quello che penso della rivolta studentesca nell'ultimo numero di "Nuovi argomenti". Aggiungerò soltanto che le distinzioni tra Guerra Civile e Rivoluzione non m'interessano. In realtà gli studenti si sono rivoltati dovunque contro il mortuario nichilismo dei sistemi politici ed economici, in nome della liberazione dell'uomo. Questo è il punto che va segnato a loro favore, importantissimo. E questo è ciò che si dirà di loro, a loro onore, quando si farà la storia di quest'anni.


François Revel: Ha capito che gli studenti han perso.


Da quando gli studenti sembrano aver perso (e come avrebbero potuto non perdere sul terreno della forza e di fronte alle manovre dei grandi apparati politici?) tutti gli saltano addosso. Qui, in Francia, gli si rimprovera la confusione intellettuale. A questa accusa essi potrebbero rispondere: «Chi ci ha insegnato a pensare? Da chi abbiamo appreso il ridicolo vocabolario col quale ci esprimiamo? A insegnarcelo furono i filosofi celebri, i maestosi economisti, gli apostoli magniloquenti della società metafisica: gli stessi che oggi sono così pronti a condannarci». Quanto a Pasolini, egli riprende la tesi classica del PCI e del partito comunista francese, e ciò in uno stile che rivela in uguale misura il crollo del pensiero politico e il cataclisma poetico della forma. Il fatto che gli studenti occupino le università, per lui non è una rivoluzione. È rivoluzione solo quando gli operai occupano le fabbriche. Prima di tutto Pasolini dovrebbe sapere che non la rivoluzione me la reazione sta profilandosi dovunque, si sta addirittura insediando, poiché in Francia gli operai non avrebbero occupato la fabbriche se gli studenti non avessero prima occupato l'università.


Pasolini dice che gli studenti sono borghesi, ed è vero. Ma rimproverandogli questa ascendenza borghese egli dimostra di mancare dei primi rudimenti di cultura marxista. La parte più viva delle correnti rivoluzionarie è sempre stata costituita da esponenti delle classi dirigenti che non sopportano la menzogna in cui li avvolge il loro dominio. La rivoluzione del 1789 non avrebbe avuto luogo senza l'azione di esponenti dell'aristocrazia e di figli dell'alta borghesia "ancien regime". Marx, Lenin e Trozky erano borghesi. L'opposizione interna delle classi intellettuali dominanti è l'elemento indispensabile perché le masse alienate acquistino un dinamismo rivoluzionario. Per il partito comunista rifiutare quest'alleanza equivale ad automutilarsi, ridursi al ruolo della socialdemocrazia. Dubito che Pasolini possa trovare in Marx o in Lenin una sola citazione a conforto della sua proposta: sostituire l'alleanza tra gli intellettuali e i lavoratori manuali con quella tra i poliziotti e gli operai.


Michel Butor: Uno stile da cartolina postale.


Sono appena venuto a conoscenza del testo integrale della poesia di Pasolini. La sua è una reazione sentimentale del tutto personale che non esprime per nulla la posizione del partito comunista francese. È storia vecchia: i governi più retrogradi hanno sempre saputo servirsi di alcuni elementi della classe operaia per lottare contro di essa; in questo senso, ritengo particolarmente significativo il "couplet" lacrimevole sui poliziotti figli di operai. Ma la poesia di Pasolini è sgradevole e goffa ma non tanto nel contenuto quanto nella maniera di esprimerlo: nulla di più paternalistico, in fin dei conti, di questi versi stile cartolina postale.


Goffredo Parise: Un artista rabbioso e decadente.


Invitato a dire la mia opinione su una vicenda di cronaca (e non di poesia), dirò subito che la poesia (e non la cronaca) di Pasolini, mi è parsa bella. sì, bella. (Come è brutto, invece, che Pasolini, bugiardamente, per ragioni che dirò in seguito, definisca brutta una poesia che egli, ottimo critico, sa, sa benissimo che è bella). Forse non è nemmeno una poesia (e come è brutta, che "stecca" marziale e autoritaria quella parola: ode) ma, con più semplicità e forse con più poesia, è la ricca e colta espressione-sfogo di un ex-povero, al tempo stesso confusa ed emozionante (confusa, appunto, dunque bella).


Detto questo va detto anche che dall'"espressione" nel suo insieme emerge non soltanto, la figura privata e poetica di Pasolini, ma, obbligatoriamente, dati gli ingredienti, anche la sua figura pubblica e politica. Essa risulta composta di due elementi base: uno alto e puro e un altro basso e impuro. L'elemento alto è la viscerale natura tardocristiana di artista rabbioso egomane e decadente. L'elemento basso è la vanità pubblica (o la smania di potere che è la stessa cosa) e, di conseguenza, il velocissimo e onnivoro tatticismo culturale e politico. Questi due elementi balzano in evidenza dalla poesia in questione, il secondo particolare spicco negli ultimi versi che conchiudono in lamentazione manieristica (e non in doloroso dubbio) la foga autentica dei versi precedenti: e l'odio conclamato si corregge e scompare. L'odio è già un omicidio, per dirla con Dostoevskij, e non si arresta a un preventivo atto di dolore viene dopo, dopo aver odiato fino in fondo. Pasolini pubblico non è dunque un epico omicida (metaforico, ideologico, s'intende) bensì un nevrastenico pedagogo. Ma Pasolini poeta è un artista-cervello con carne di povero ed ecco perché la sua poesia è bella. Mi ha fatto pensare a Franz Fanon, quando parla dei poliziotti italiani (o di sé). Personalmente credo che i poliziotti italiani, a differenza di quelli francesi, tutti "citoyens", tutti "monsieurs", siano la stessa cosa dei colonizzati nordafricani di Fanon e i borghesi che li chiamano terroni, i coloni. Ma ancora più umiliati di quelli perché non l'odio-esplosione muscolare di Fanon li muove contro gli studenti, bensì l'invidia-sono dell'obbedienza piccolo-borghese.


Questa la mia opinione sulla poesia-vicenda di Pasolini, che si sta consumando in brusio locale e postdannunziano anziché contrarsi negli spasmi di un più ampio, ideologico eccidio.


Eugenio Montale: Uno sfogo personale.


La poesia di Pasolini non è né bella né brutta, perché non è una poesia: uno sfogo personale. Egli dice, se ho letto bene, che gli studenti (universitari) sono figli di papà e «non fanno sul serio». La prima affermazione è parzialmente vera; la seconda entra nel campo delle previsioni. Si starà a vedere. Personalmente credo che un vero ribelle dovrebbe infischiarsene delle lauree e dei diplomi. Invece questi ribelli vogliono laurearsi collegialmente, senza controlli. Più rivoluzionario fu Luigi Einaudi quando propose l'abolizione del valore legale delle lauree. Ma non fu ascoltato. Del resto, essendo largamente insufficienti le aule, se gli studenti si fossero recati a scuola "in massa" lo scandalo sarebbe stato molto maggiore. Paralisi totale dell'insegnamento. Un'altra arma degli studenti poteva essere questa: "protestare" gli inseganti incapaci o "pendolari" (per esempio deputati o senatori). Nulla di simile fu tentato.


Molto ambigue sembrano dunque le proteste degli studenti: difficilmente riusciranno a mettersi d'accordo.


Ma ambigua è anche la posizione di Pasolini. Egli non è affatto un marxista sebbene si sia illuso (o m'inganno) di esserlo. Gli manda totalmente l'"estrazione" hegeliana. Animato da zelo pedagogico, si è fatto una religione per conto suo. Una religione che non sarebbe ammessa in uno Stato proletario, necessariamente a senso unico.


Non penso però che Pasolini abbia un vero interesse a chiarire la sua posizione. La contestazione sta diventando una categoria autosufficiente e non presuppone, anzi rifiuta, ogni possibile meta o risultato. Se il risultato ci fosse, il contestatore dovrebbe cambiar mestiere, cosa difficile e forse nemmeno augurabile nel caso di Pasolini.


Guido Piovene. Uno schiaffo agli opportunisti.


Il "pamphlet in versi" di Pasolini, se lo si guarda bene, non è contro gli studenti. È contro l'opportunismo intellettuale e la malafede delle troppe mosche cocchiere del movimento studentesco. È questo disonore intellettuale degli italiani che ha mandato Pasolini in collera; contro questo ha reagito, prendendo una posizione provocatoria il cui merito è d’essere, appunto, uno schiaffo agli opportunisti e d’opporre scandalo a scandalo. «L’oggetto del mio disprezzo sono quegli adulti che si ricreano una specie di verginità adulando i ragazzi», ha detto Pasolini nel dibattito all’ ”Espresso”. Qui, a mio parere egli fa centro.


Guardando l’invettiva di Pasolini come un grido d’indignazione e un atto di provocazione, tutto quello che dice non si può prendere alla lettera. Non credo che studenti e operai appartengano quasi a due nature diverse. È evidente che il pensiero di Lenin sul contributo della borghesia ai movimenti rivoluzionari, resta valido anche oggi. Ma se, nel dibattito apparso sullo “Espresso” Pasolini si è difeso a colte un po’ debolmente, i suoi antagonisti non hanno voluto trarre partito da alcuni suggerimenti che il pamphlet poteva offrire.Meglio era dire che di fronte al movimento studentesco bisogna assumere una posizione fondamentalmente favorevole ma giusta. Ci sono troppi aspetti torbidi o grezzi che devono essere indicati: la stupida mentalità della tabula rasa; della piazza pulita; della partenza da zero; il fascino che vi esercitano filosofi superficiali e rozzi; la pretesa terroristica che la cultura d’oggi sia quasi tutta dipendente dall’ideologia del sistema; le venature d’avanguardismo snobistico; la frenesia, che può essere catastrofica, di giungere in un giorno a una soluzione “totale”. È un movimento di pensiero e d’azione alla cui formazione tutti possono contribuire; meno di tutti servono quelli che gli scorrono dietro, i lodatori opportunisti, contro cui si rivolgono le “scandalose” parole di Pasolini.


Franco Fortini. È come una carta acchiappamosche


È inutile dire che cosa in quelle pagine sia falso o magari ipocrita. L’hanno già detto. Posso aver fatto lo sforzo di indagare le motivazioni di chi per tanto tempo ha recitata la parte di D’Annunzio, sono troppo stanco per cercarle in chi ormai si accontenta di imitare Malaparte. Invece sarebbe importante veder meglio quel che c’è di vero (ad esempio, la parola “guerra civile”). È un nucleo, tutto fasciato di falso: Ma bisognerebbe portare il discorso fuori del contesto che s’è scelto nascendo; e a un altro livello. Tenendo presente che, se si vuol parlare seriamente, a Pasolini è meglio dargli qualcosa da leggere o da scrivere perché non disturbi.


Per parlare di quel che sta succedendo non servono i politici. Ci vorrebbe una mente di buona educazione marxista o una testa forte di cattolico di “destra”, come quella di Augusto Del Noce. Leggo di quest’ultimo, sul n.5 di “Vita e Pensiero”, uno scritto sui giovani che merita molta riflessione; come questo periodo, d’altronde, che conclude un articolo della medesima rivista cattolica, dovuto a R. Quadrelli: «È bene prepararsi fin d’ora, e sa sempre sarebbe stato bene prepararsi, alla vera scelta...la scelta che vorrà solo grandi sacrifici per piccoli risultati, per la quale la legge scritta, tante volte vilipesa e tante volte invocata, non servirà più finalmente».


Ma sarebbe davvero ingiusto pretendere dall’ “Espresso” di farsi sede di discorsi simili. Come sarebbe inutilmente oltraggioso suggerirne la meditazioni alla gente di lettere che di solito fa coro a questi scandali falsi. Si tratta quasi sempre di gente che ha trascorso la vita praticando la riduzione di qualsiasi livello al proprio. Se come critico letterario o ideologo posso sbagliarmi, vent’anni di esperienza di copywright, cioè di testi pubblicitari, m’assicurano che codesta del Pasolini, come “advertising copy”, è ottima. È una riuscita carta acchiappamosche. Le mosche sono venute. Ora bisogna buttar via le mosche e la carta.


Johannes Agnoli. Un classico della reazione


Pasolini dimostra con la sua poesia u’eccezionale mancanza non solo di coscienza storica, ma anche di sapere storico. Spesso i movimenti rivoluzionari operai sono usciti da rivolte studentesche, come già disse Rosa Luxemburg parlando degli avvenimenti rivoluzionari russi. Ma una smentita più attuale a Pasolini viene offerta dagli avvenimenti francesi e da ciò che è successo nell’ultimo tempo in Germania e a Berlino ovest. Dal punto di vista politico mi pare che Pasolini, col suo poema, s’inquadri in modo abbastanza chiaro in quelle tendenze controrivoluzionarie e reazionarie che s’impegnano a soffocare ogni movimento di solidarietà tra rivolta studentesca e emancipazione delle masse. E ciò mi pare, ancora una volta, confermato da quello che sta succedendo in Germania. A titolo d’illustrazione storica ricorderò che il presidente della Cofindustria tedesca, Frizberg, ha subordinato la concessioni di aiuti finanziari a Berlino al fatto vche vengano impediti i contatti tra operai e studenti. Per quanto riguarda il contenuto della poesia e in particolare il brano dedicato ai poliziotti, mi pare qui che Pasolini dimentichi che la polizia che si scontra con gli studenti è la stessa che picchia disperatamente gli operai, quando essi si mettono in movimento. Mi dispiace molto per Pasolini che stimo come artista; ma, a pochi giorni dalla sua pubblicazione in Italia, il suo poema viene già citato in Germania, sulla stampa fascista e moderata, come un pezzo classico. La sua presa di posizione, insomma, si presta moltissimo ad essere strumentalizzata, non solo contro gli studenti, ma anche contro gli operai.

Le ceneri di Pasolini © L'Espresso, anno 14, n.25, giugno 1968, pp.14.15
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