Pier Paolo Pasolini a Francoforte per la Buchmesse, 1974 © Carla Cerati/Tutti i diritti riservati
Io abiuro dalla «Trilogia della vita», benché non mi penta di averla fatta. Non posso infatti negare la sincerità e la necessità che mi hanno spinto alla rappresentazione dei corpi e del loro simbolo culminante, il sesso. Tale sincerità e necessità hanno diverse giustificazioni storiche e ideologiche. Prima di tutto esse si inseriscono in quella lotta per la democratizzazione del “diritto a esprimersi” e per la liberalizzazione sessuale, che erano due momenti fondamentali della tensione progressista degli Anni Cinquanta e Sessanta. In secondo luogo, nella prima fase della crisi culturale e antropologica cominciata verso la fine degli Anni Sessanta – in cui cominciava a trionfare l’irrealtà della sottocultura dei “mass media” e quindi della comunicazione di massa – l’ultimo baluardo della realtà parevano essere gli “innocenti” corpi con l’arcaica, fosca, vitale violenza dei loro organi sessuali. Infine, la rappresentazione dell’eros, visto in un ambito umano appena superato dalla storia, ma ancora fisicamente presente (a Napoli, nel Medio Oriente) era qualcosa che affascinava me personalmente, in quanto singolo autore e uomo. Ora tutto si è rovesciato. Primo: la lotta progressista per la democratizzazione espressiva e per la liberalizzazione sessuale è stata brutalmente superata e vanificata dalla decisione del potere consumistico di concedere una vasta (quanto falsa) tolleranza. Secondo: anche la “realtà” dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomessa dal potere consumistico: anzi, tale violenza sui corpi è diventato il dato più macroscopico della nuova epoca umana. Terzo: le vite sessuali private (come la mia) hanno subito il trauma sia della falsa tolleranza che della degradazione corporea, e ciò che nelle fantasie sessuali era dolore e gioia, è divenuto suicida delusione, informe accidia […].
Se anche volessi continuare a fare film come quelli della «Trilogia della vita», non lo potrei: perché ormai odio i corpi e gli organi sessuali. Naturalmente parlo di questi corpi, di questi organi sessuali. Cioè dei corpi dei nuovi giovani e ragazzi italiani, degli organi sessuali dei nuovi giovani e ragazzi italiani. Mi si obietterà: «Tu per la verità non rappresentavi nella Trilogia corpi e organi sessuali contemporanei, bensì quelli del passato». È vero: ma per qualche anno mi è stato possibile illudermi. Il presente degenerante era compensato sia dalla oggettiva sopravvivenza del passato che, di conseguenza, dalla possibilità di rievocarlo. Ma oggi la degenerazione dei corpi e dei sessi ha assunto valore retroattivo. Se coloro che allora erano così e così, hanno potuto diventare ora così e così, vuol dire che lo erano già potenzialmente: quindi anche il loro modo di essere di allora è, dal presente, svalutato. I giovani e i ragazzi del sottoproletariato romano – che son poi quelli che io ho proiettato nella vecchia e resistente Napoli, e poi nei paesi poveri del Terzo Mondo – se ora sono immondizia umana, vuol dire che anche allora potenzialmente lo erano: erano quindi degli imbecilli costretti a essere adorabili, degli squallidi criminali costretti a essere dei simpatici malandrini, dei vili inetti costretti a essere santamente innocenti, ecc. ecc. Il crollo del presente implica anche il crollo del passato. La vita è un mucchio di insignificanti e ironiche rovine […].
I miei critici, addolorati o sprezzanti, mentre tutto questo succedeva, avevano dei cretini “doveri”, come dicevo, da continuare a imporre: erano “doveri” vertenti la lotta per il progresso, il miglioramento, la liberalizzazione, la tolleranza, il collettivismo, ecc. Non si sono accorti che la degenerazione è avvenuta proprio attraverso una falsificazione dei loro valori. Ed ora essi hanno l’aria di essere soddisfatti! Di trovare che la società italiana è indubbiamente migliorata, cioè è divenuta più democratica, più tollerante, più moderna ecc. Non si accorgono della valanga di delitti che sommerge l’Italia: relegano questo fenomeno nella cronaca e ne rimuovono ogni valore. Non si accorgono che non c’è alcuna soluzione di continuità tra coloro che sono tecnicamente criminali e coloro che non lo sono: e che il modello di insolenza, disumanità, spietatezza è identico per l’intera massa dei giovani. Non si accorgono che in Italia c’è addirittura il coprifuoco, che la notte è deserta e sinistra come nei più neri secoli del passato: ma questo non lo sperimentano, se ne stanno in casa (magari a gratificare di modernità la propria coscienza con l’aiuto della televisione). Non si accorgono che la televisione, e forse ancora peggio la scuola d’obbligo, hanno degradato tutti i giovani e i ragazzi a schizzinosi, complessati, razzisti borghesucci di seconda serie: ma considerano ciò una spiacevole congiuntura, che certamente si risolverà – quasi che un mutamento antropologico fosse reversibile. Non si accorgono che la liberalizzazione sessuale anziché dare leggerezza e felicità ai giovani e ai ragazzi, li ha resi infelici, chiusi, e di conseguenza stupidamente presuntuosi e aggressivi: ma di ciò addirittura non vogliono occuparsene, perché non gliene importa niente dei giovani e dei ragazzi.
Pier Paolo Pasolini "Ho abiurato la Trilogia della vita", 15 giugno 1975 pubblicata Domenica 9 novembre 1975 «Corriere della Sera» e poi raccolta nel volume di saggi intitolato "Lettere luterane", pubblicato da Garzanti nel 1976.
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