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Immagine del redattoreCittà Pasolini

Natalia Ginzburg recensisce il documentario su Pasolini "Il sogno di una cosa" (1976)

Il sogno di una cosa: un documentario sulla giovinezza di Pasolini, nel Friuli, fra il '43 e il '49. Il titolo è quello d'un suo romanzo. Partendo dalle vicende del romanzo, la storia di tre ragazzi nel dopoguerra, il documentario ripercorre i luoghi dove Pasolini fu in quegli anni; nato a Bologna nel '22, figlio d'un ufficiale, egli soggiornò nell'infanzia in città diverse; ebbe però sempre in Friuli, e in particolare Casarsa, paese d'origine della madre, come punto di riferimento stabile e residenza nei mesi di state. Nel 1943 lui, la madre e il fratello sfollarono a Casarsa. Da Casarsa, colpita dai bombardamenti, si trasferirono in Versuta; presa la laurea a Bologna, Pasolini cominciò a insegnare nelle scuole di quei villaggi.


Il sogno di una cosa – Pasolini in Friuli (Rai, 1976), per la regia di Francesco Bortolini

Parlano qui le persone che avvicinarono Pasolini allora; la padrona del casale, che lo ricorda quando giocava a tombola con i contadini nelle lunghe serate «L'era tant gentil», parlano i suoi allievi di allora; vediamo la piccola chiesa dove scoperse gli affreschi. Li restaurò strofinandoli con le cipolle. Si iscrisse al partito comunista nel '46. Furono anni certo per lui felici; fu al fianco dei contadini nella lotta politica; alcuni anni prima, in una lettera all'amico Farolfi, aveva scritto: «Credo che non ci sia cosa più bella della vita in campagna, nel paese natio, fra semplici amici». Ora aveva in più la ricchezza dell'impegno politico. Inoltre amava far scuola; per i suoi ragazzi, disegnava e dipingeva; faceva loro conoscere non tanto Manzoni quanto Verga, e oltre a Pascoli e a Carducci gli spirituals negri, e Montale, Quasimodo, Sandro Penna. Nel 1949 fu espulso dal partito. Assolto al processo per non avere commesso il fatto, lasciò il Friuli.


Morto il fratello nel 1945, Pier Paolo Pasolini era solo ora con padre e madre. Vennero tutti e tre ad abitare a Roma. Dovettero apparirgli, le campagne friulane, amare nel ricordo perché vi aveva bevuto e respirato all'ultimo amari veleni; e tuttavia egli le rimpianse, con lo strazio con cui se pensavano i luoghi intrisi di lacrime, umiliazioni e stagioni felici.


Curato da Francesco Bortolini, con la regia di Zanchin, il documentario è onesto e sobrio e privo di ogni intonazione commemorativa: si potrebbe perfino pensare, al vederlo, che Pasolini fosse ancora vivo. Sembra però di trovarsi in presenza d'una prima puntata, e che tutto resti ancora da dire. L'immagine che abbiamo di Pasolini è un'immagine mitigata e mutilata: il suo volto e il suo destino furono, anche in quegli anni di giovinezza, più tortuosi e più sofferenti e travagliati di come appaiono qui. Tuttavia la mutilazione non è generata da volontà: ma dal fatto che è davvero difficile dare il ritratti pieno e vivo d'una persona, e in particolare restituire i lineamenti d'un volto quale fu quello di Pasolini, i segni d'una personalità così complessa, così grande e così strana.


Natalia Ginzburg Pasolini giovane nel Friuli, 26 novembre 1976 © Il Corriere della Sera/Riproduzione riservata

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