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Immagine del redattoreCittà Pasolini

Callas, in dialogo con Dacia Maraini, su Vogue Italia, 1970.



Maria Callas nella Grande Mosquea di Djenné (Mali), 1969-1970, © Marli Shamir collection, National Museum of African Art (Smithsonian Digital Archive)/Tutti i diritti riservati


«Sai che prima di conoscerti pensavo che tu fossi una donna scostante e arcigna. Invece ho scoperto, conoscen doti, che sei allegra, dolce e simpatica. Perchè credi che i rotocalchi insistano tanto su una immagine di te così stereotipata e falsa » ?


«La Callas è dolce e non ha artigli. Ma fa il suo dovere, lavora e non è mai soddisfatta di quello che fa. Perciò dicono che è superba, ma non è vero».


«Forse scambiano la tua ritrosia per superbia».


«Mi giudicano senza avermi mai conosciuta. lo sono troppo orgogliosa per difendermi e così li lascio dire. Ma poi mi dispiace che si dicano tante cose false su di me, che mi si faccia passare per una donna avida e ambiziosa».


«Comunque quando si dice ambizioso si allude a una persona senza talento. Chi ha talento non è ambizioso: semplicemente cerca di difendere e far valere le sue qualitá ».


«lo ho molti dubbi su me stessa. Non mi sento una gran cosa. Ma se mi attaccano, mi arrabbio perchè quello che faccio lo faccio con molta serietá e vorrei che se ne tenesse conto».


«Ti dispiace se parliamo un po’ di te quando eri bambina? Eri una bambina felice» ?


«Non mi mancava niente. Venivo da un’ottima famiglia di militari che amavano molto la musica e il canto. Cantavano tutti, questi militari, a sentire i miei parenti. Ma ci mettono molto sale e pepe, come si dice in Grecia».


«I tuoi genitori sono tutti e due greci»?


«Ma sono nata a New York e ancora adesso conservo il passaporto americano».


«Come mai la tua famiglia si era trasferita in America? Cosa faceva tuo padre» ?


«Mio padre è chimico e farmacista. Si è trasferito a New York per ragioni personali che non so, verso il ’20. Nel ventiquattro sono nata io. Il due dicembre ».


« Hai sorelle e fratelli» ?


«Sì, una sorella maggiore che si chiama Jakintos, cioè Giacinta. Ho a vuto anche un fratello, Vassily, ma è morto. Era biondo e bello».


«Dunque la prima infanzia l’hai passata in America. Fino a quando sei rimasta a New York»?


«Fino a tredici anni. Nel ventinove ce stata la crisi economica e noi ci siamo cascati dentro fino al collo. Ad un certo punto mio padre ha deciso di rientrare in Grecia e siamo tornati, proprio nel momento in cui scoppiava la seconda guerra mondiale».


«Hai dei ricordi di allora»?


«Ricordo la Grecia nera di fame e tante atrocità».


«C’è qualche particolare che ti è rimasto nella memoria più degli altri»?


«La guerra è orribile, la guerra civile peggio ancora. Preferisco non ricordare».


«Come erano i rapporti con tuo padre quando eri ragazzina»?


«L’ho adorato»


«Com’è tuo padre» ?


«Un uomo dolce, bello, irresponsabile, bugiardo come tutti gli uomini, un po’debole,gentile. Viaggiava sempre e io lo vedevo poco».


«E tua madre com’è»?


«Mia madre è molto nervosa. Brontola sempre. Quando ero bambina mi ricordo che si lamentava di essere la nostra schiava, di avere sacrificato la vita per noi. lo per non sentirla scappavo via. Ma non bisogna criticare i genitori. Loro ci hanno dato la vita e l’amore che potevano darci ».


«E con tua sorella andavi d’accordo»?


«Ci siamo amate. Ma non siamo mai state molto vicine. Lo, sai, non ci credo al legame di sangue. I miei problemi li ho dovuti risolvere da sola e quando ero triste o abbattuta nessuno in famiglia mi ha mai dato una mano. Mia sorella era frivola. Studiava pianoforte, ma non aveva talento. Non ha preso neanche il diploma. E non si è neanche sposata. In fondo tutti e quattro noi della famiglia Kalogeropoulos siamo molto diversi e incapaci di vivere insieme».


«Kalogeropoulos è il tuo nome vero? E Callas da dove viene fuori »?


«Il mio era un cognome troppo lungo. Ma non sono stata io a farlo diventare Callas. A scuola lo abbreviavano così».


«E con tuo padre, tua madre e tua sorella in che rapporti sei adesso»?


«Non li vedo molto, solo raramente. Mia madre non l’ho più rivista dal ‘50.Mio padre l’ho rivisto tre anni fa. Si è risposato con unavecchia amica di famiglia. Con mia sorella ci scriviamo».


«Ma è vero che li mantieni tutti»?


«Si, ogni mese mando del denaro sia a mia madre che a mia sorella».


«È vero che è stata tua madre a spingerti al canto»?


«È vero. Mia madre mi ha forzata a studiare. Io non ero convinta del mio valore. Ho fatto un patto con lei, che se vincevo la borsa di studio continuavo, altrimenti smettevo. Per entrare al conservatorio ho dovuto mentire: dire che avevo diciassette anni invece di quattordici. Da allora ho vinto ogni anno una borsa di studio e non ho più smesso di cantare».


«A che età hai cominciato a cantare in pubblico»?


«A dodici anni, in concerti privati. Ma la prima volta che sono salita su un palcoscenico è stato a quattordici anni. Ho cantato la Cavalleria Rusticana. Poi è venuta la guerra e io ho continuato a cantare quando potevo. Ma allora c’era molta povertà. E anche la nostra famiglia era povera».


«Quando guadagnavi del denaro, da ragazza, che ne facevi»?


«Lo portavo a casa. Lo davo a mia madre. Fino a quando mi sono sposata ho sempre dato in casa quello che guadagnavo».


«Come la consideravi, da ragazzina, la tua voce»?


«Scura, duttile. Non mi piaceva. Ancora oggi certe volte penso che sono ubriachi quelli che mi danno tanta gloria. Io non mi piaccio nè come donna nè come cantante».


«In che anno ti sei sposata»?


«Nel ‘49. Ho lasciato mia madre e sono partita per Verona».


«E come era il signor Meneghini quando l’hai sposato» ?


«Un uomo pieno di entusiasmo e di energia».


«Lo faceva ma non lo sapeva fare. Era un fabbricante di mattonelle e non capiva niente di canto. Io comunque non volevo sposare un impresario. Volevo un marito e dei figli. Ma lui non voleva figli. E così adesso mi trovo sola ».


«Avrei voglia di qualcuno che mi stesse vicino, che mi aiutasse a prendere le dicisioni. Ho sempre dovuto decidere da sola, fidarmi solo delle mie forze. Non è bello vivere sola. Vorrei una famiglia, dei figli. To ho bisogno di dare. Ho dato molto al teatro, ma non alla famiglia perchè non ne ho mai avuta una. Certe volte sono così stanca di difendermi da sola; vorrei qualcuno che prendesse le mie parti e mi lasciasse riposare».


«Difenderti da cosa»?


«Dall’odio, dalla gelosia, dall’inganno, dalle calunnie. Un’artista non dovrebbe mai avere bisogno di difendersi; dovrebbe vivere pensando alla sua arte e basta. Invece tutte queste aggressioni immiseriscono e affaticano».


«Di solito come sono i tuoi rapporti con i colleghi di lavoro»?


«Buoni. Ottimi. Ogni tanto qualcuno si ingelosisce e fa i capricci, mi guarda male. Ma in generale sono stati e sono buonissimi».


«E i rapporti con i direttori d’orchestra»?


«Buoni anche quelli. Io cerco di seguirli, di adeguarmi: un cantante è legato dalla musica. Però mi considero un’interprete completa. Cantare vuol dire recitare».


«E coi registi»?


«Io, sai, sono molto scrupolosa e appassionata nel mio lavoro, quindi sia i direttori che i registi amano lavorare con me».


«Hai mai cantato con Toscanini» ?


«Mi aveva chiamata per fare Lady Macbeth. Sono andata, ho fatto l’audizione. E lui era tanto entusiasta che ha detto a Wally: "Ma questi cretini della Scala che fanno, hanno presa o no”? Poi purtroppo si è ammalato e non ho piu cantato con lui».


«E Visconti»?


«Visconti è un caro amico. Un uomo che amo e stimo. Abbiamo lavorato molto bene insieme, anche se lui qualche volta ha tentato di dominarmi, senza mai riuscirci però».


«E cosa pensi di Ghiringhelli» ?


«Con me è sempre stato gentile, rispettoso, Mi portava come esempio perchè lavoravo con tanto entusiasmo. Alla Scala il suo ufficio stava accanto alla sala di prove e lui si stupiva di come mi accanivo a studiare la Traviata che avevo già data tante volte in tutto il mondo e che sapevo a memoria. Ma io, ogni volta che devo andare in scena, ritorno a studiare come una scolaretta. Nel canto ci vuole disciplina di ferro, preparazione profonda ed entusiasmo».


«Per te è importante la reazione del pubblico»?


«La maggioranza ha sempre ragione. È’ una legge di teatro».


«Pensi che per un cantate sia importante identificarsi con il personaggio che interpreta»?


«Molto importante. Quando faccio Violetta, sono Violetta. Io, Maria Callas, non esisto più; vivo e muoio col mio personaggio».


«Quindi ogni recita è una terribile fatica»?


«Mi affaticano sole le cose noiose. Le cose che mi piacciono non mi affaticano assolutamente».


«Qual è il personaggio d’opera che ami particolarmente interpretare» ?


«La Norma. Quella che capisce tutto ma non può fare niente. Forse mi assomiglia un po’».


«Posso chiederti una cosa: sei religiosa» ?


«Si, molto. Credo in una forza divina, anche se non so che nome abbia. Certe forme teatrali, certi colpi di scena della religione ufficiale non mi piacciono affatto. Ma non voglio essere atea perché sarebbe un atteggiamento negativo. L’unico gesto da bigotta che mi è rimasto è quello di farmi il segno di croce prima di entrare in palcoscenico. E’ un’abitudine, una scaramanzia».


«Tu sei nata ortodossa vero»?


«Sì e lo sono tuttora anche se non in maniera tradizionale».


«Se dovresti enunciare in poche parole la tua morale, cosa diresti»?


«Non faccio del male agli altri, anche se mi sarebbe facile farlo. Primo perché non ne ho voglia, la vendetta mi deprime; secondo perchè ho paura che il male ricada su di me. Presto o tardi le cose brutte che facciamo si ritorcono contro di noi, Sono sincera e onesta. Amo la buona educazione ma odio lipocrisia. Amo la semplicità e la chiarezza. Con gli amici sono fedele e affettuosa. Odio l’adulazione e la stupidità».


«Credi nellinferno e nel paradiso? Credi nell'immortalitá dell'anima» ?


«Non lo so. Non ci sono prove. Sono molto terra terra, cara Dacia. Penso che sia più importante cercare di non farsi a vicenda del male qui inquesta vita piuttosto che preoccuparsi dell'altro mondo che forse non c’è».


«Hai delle opinioni politiche»?


«Non capisco niente di politica. L’unica cosa a cui tengo è la libertà. »


«E dimmi, il fatto di essere donna, ti ha qualche volta danneggiato nella carriera o nella vita sociale»?


«Sono fiera di essere donna. Ma ho sempre vissuto fra gli uomini e qualche volta gli uomini si annoiano con le donne. Perciò ho dovuto imparare a comportarmi come un uomo: essere svelta, efficiente, sportiva, allegra, indipendente».


« Insomma. il contrario di una diva che si permette tutti i capricci».


«Odio i capricci. E quando lavoro, lavoro sul serio, cerco di capire quello che si vuole da me, senza impuntarmi. Anche adesso, con Pasolini. Puoi chiedergli se ho mai fatto capricci o mi sono comportata da diva».


«Pensi di fare ancora del cinema dopo questa Medea»?


«Non lo so. Può darsi che farò ancora del cinema; ma trovare un regista che si stima e con cui si va d’accordo e difficile».


«Sei stata precocissima come cantante. Adesso come te la senti, la voce: molto simile a com'era allora o cambiata»?


«La voce quando c’è, c’è. Non cambia e non si rovina. L’unica cosa che non si può fare con la voce è dominarla. lo ho cercato di dominarla e quella mi ha preso a calci. Si può dominare la tecnica ma non la voce».


«Cosa vuol dire dominare la voce»?


«Ho imparato a mie spese che la mia voce è un animale, un animale un po’ ribelle. lo voglio fare la Lucia e lei vuol fare La Gioconda; cerco di costringerla; ma ho torto. L’animale ha la sua vitalità, le sue voglie e io devo assecondarlo, se non del tutto, fino a un certo punto».


«Un'altra cosa: è vero che sei molto miope» ?


«Si, è vero. Sono miope da quando avevo sei anni».


«E come fai sulla scena, senza occhiali»?


«Prima di cantare, vado sul palcoscenico e faccio un giro toccando tutti gli oggetti. Una volta che li ho toccati con le mani, li ho chiari nella testa per sempre. Gli occhi sono ciechi e io li posso anche chiudere. Vedo con la mente e non ho mai sbagliato. Qualche volta mi fanno ammattire, perchè per ragioni economiche, le prove vengono ridotte al minimo. Una volta al Metropolitan mi hanno fatto cantare senza mai avere provato ne visto le scene. Sono uscita sul palcoscenico, nel secondo atto, (si dava la Traviata) e mi sono trovata in uno spazio piccolissimo, dove non potevo neanche girarmi. Lo scenografo aveva avuto la bella idea, non so perchè, di ambientare la Traviata in una zona di paludi, con ciuffi d’erba, pantani, piante scivolose e ogni passo che facevo, rischiavo di cadere. Poi recitavo con un baritono che non avevo mai visto e non sapevo neanche se era alto o bassa e seguirlo fra i fumi di quelle paludi era un problema».


«Ma il direttore d'orchestra lo vedi»?


«No»


«E come fai per seguire le sue indicazioni»?


«Vado a orecchio. Non mi è mai capitato di sbagliare. Una volta si facevano tante prove. Mi ricordo che quando cantavo all’opera di Atene, provavamo un’opera per sei mesi. Adesso dicono che le prove costano troppo, che i teatri non possono permettersi il lusso di radunare tutti gli orchestrali e tutti i cantanti per giorni e giorni prima del debutto. Perciò tutto viene improvvisuto. Non è serio».


«E dimmi, quali sono i tuoi programmi per il prossimo futuro»?


«Non ho impegni con i teatri lirici per adesso. La Traviata che dovevo fare a Parigi è saltata. Ho molte proposte ma per ora non mi sono decisa ».


« Ma fai dei dischi, mi pare» ?


«Sì, sto facendo un disco per la Columbia su arie di Verdi».


«Posso chiederti una cosa per avere avuto un destino diverso dall'ordinario?.


«Sono una creatura del destino io. Il destino mi ha scelta, mi ha voluta così. Io sono fuori di me e assisto alla mia vita dall'esterno. Vedo me sa con lucidità, vedo gli altri. Come donna mi considero sfortunata perchè non ho l’affetto di un uomo e non ho l’amore dei figli».


«Ma sei felice»?


«Se fossi egoista, se mi piacesse solo ricevere, direi di si. Ma siccome mi piace dare e non ho a chi dare, non posso dire di essere felice».


«lo ti auguro di esserlo in futuro. Sei talmente bella e vitale e giovane che non vedo perché non dovresti trovare un uomo degno di te, che non ti deluda mai, che ti dia la voglia di avere dei figli, come vuoi tu».


Dacia Maraini. Maria Callas, in dialogo con Dacia Maraini, in Vogue Italia, 1970, pp.169-176.

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