Maria Callas durante le riprese del film di Pier Paolo Pasolini Medea (1969) in Turchia © Mario Tursi/Riproduzione riservata
Roma, 24 giugno 1969
Una veggente turca, leggendo nei fondi di una tazzina di caffè ha predetto a Maria Callas, in una tappa del viaggio da Ankara a Goreme dov’ella si recava per cominciare il suo primo film, che questa svolta della sua vita è destinata a riservarle eccezionali e liete sorprese (il film, si sa, è Medea, e la Callas è rientrata in questi giorni a Roma dalle riprese che Pasolini ha compiuto in Cappadocia). Certo, le sorprese previste dalla veggente, per gradite che siano, non faranno dimenticare alla Callas il mondo della musica a cui appartiene. Lo ha già detto, e ama ripeterlo, tornerà a cantare nella prossima stagione. Ma il debutto per lo schermo realizza, intanto, un progetto che coltivava da tempo, quello di mettere il suo temperamento artistico (che qualcuno ha paragonato a un torrente in piena), la sua intelligenza, la sua volontà di servizio di un personaggio di grande rilievo; progetto che aveva sempre rinviato, insoddisfatta delle molte proposte, soprattutto di quelle che tendevano a fare della Callas l’eroina di una opera lirica filmata.
Impressioni
Ora, divenuta la Medea di Euripide nella visione di Pier Paolo Pasolini, appare compiaciuta di questa esperienza nella quale, stando alle impressioni di persone che la circondano nel lavoro, sembra ella pensi di poter identificare una analogia e una differenza, insieme, con il mondo della lirica in cui si è mossa con altissimo prestigio. La differenza nasce della atmosfera, nuova per lei, di camaraderie fra i componenti di una troupe cinematografica. L’analogia, invece, è soggettiva, offerta dalle reazioni di fervore, le medesime che ella prova al momento di affrontare una prima sulla scena.
Si può aggiungere, a questo punto, che la suadente tranquillità di Pasolini ha certamente contribuito ad accompagnare la celebre artista nei suoi primi passi sul set come, più tardi, nel compiere qualunque cosa necessaria per le riprese: ad esempio, la difficile arrampicata sul costone di una collina, il corpo appesantito da un grande mantello, il vello d’oro stretto fra le braccia.
Primi passi sul set, abbiamo detto. In verità, non sono stati veri e propri passi, ma qualcosa di più audace. La prima scena che la Callas ha girato infatti è stata quella dell’incontro fra Medea e Giasone. E a Giasone, cioè all’atleta Giuseppe Gentile, scelto da Pasolini a impersonare il mitico argonauta. Medea è apparsa alta, fiera, solenne su un carro sacrale trainato da due cavalli. Questi non erano estremamente docili, il carro dalle grandi ruote piene sobbalzava sulle irregolarità del terreno, ma la Callas ha voluto avanzare personalmente alla guida. Al termine delle riprese, racconta qualcuno, aveva le mani gelate e il volto pallido, ma appariva soddisfattissima.
Pallida, del resto, deve sempre apparire Medea non solo perché il suo viso tormentato spicchi sul cupo colore degli abiti, ma anche perché risulti a contrasto con il bruno corpo di Giasone. E poiché Goreme è su un altopiano di 1200 metri dove le notti sono fredde ma di giorno il sole è bruciante, la Callas usava proteggere il suo pallore con un ombrellino e sul set, in attesa di girare copriva il suo viso con un velo di garza che le conferiva una aria orientale.
Nel momento in cui le riprese stanno per proseguire, domani, a Roma, dove Pasolini è appena giunto, seguendo di qualche giorno il produttore Franco Rossellini e la Callas, il pensiero della illustre debuttante dello schermo torna volentieri alle settimane trascorse in Turchia, dove ella abitava in un albergo costruito proprio fra i calanchi della valle di Goreme (la troupe era invece raccolta in un albergo di Nevshehir, una cittadina all’inizio della vallata). Il paesaggio era straordinariamente suggestivo nel suo aspetto quasi lunare, se è concesso fare riferimento a quel pianeta come può esser visto dalla fantasia di un artista, piuttosto che come lo hanno scrutato gli astronauti.
In Cappadocia
Prodotte da millenarie erosioni di acque, le valli dell’altopiano sono disseminate da singoli torrioni rocciosi che gli abitanti della Cappadocia chiamano “Cammini delle fate”. Ma nel cuore della pietra di queste valli palpitò la fede dei primi cristiani, quando la nuova religione si diffuse in Asia minore, e nella roccia, a partire dei primi secoli dopo Cristo, vennero scavate numerose chiese, divenute, quali monumenti cristiani, di grande importanza sia per l’architettura sia per le pitture decorative in un arco di tempo che giunse al dodicesimo secolo.
Come trascorreva la Callas le pause di attesa, non soltanto nei primi giorni quando le casse con i suoi costumi erano rimaste ferme all’aeroporto di Atene, ma anche le altre, previste per il suo ruolo, dal copione? Facendo acquisti di piccolo oggetti curiosi, da orecchini a portafortuna, divagandosi con i suoi due inseparabili cagnolini, ma soprattutto intrattenendosi con la troupe e assiduamente assistendo alle riprese, anche quando non impegnata sul set. È sempre la stessa Maria Callas che, sulla scena lirica, usa imprimere nella ferrea memoria le parti di tutti i personaggi, non soltanto la sua, sì da rendere superfluo ai grandi occhi miopi di seguire ogni cenno del direttore d’orchestra.
Ad ogni modo, le pause, per le come per dli altri interpreti, non sono state molte né lunghe, perché il ritmo di lavoro di Pasolini è intensissimo. E del lavoro compiuto con la Callas Pasolini si compiace con queste parole:
Nessun dubbio avevo, né potevo avere, sulla sua potenza di attrice. Una difficoltà, se mai, avrebbe potuto manifestarsi nei rapporti umani, considerato che viviamo in mondi così diversi. Invece non mi sono mai trovato così bene con un intrerprete come con la Callas. Lavoriamo in una intesa di perfetta armonia quale può legare due compagni di scuola.
Alberto Ceretto. Maria Callas sul set. Primi passi di Medea. Dopo le prime scene girate in Turchia. Ora la troupe del film di Pasolini è a Roma. Le esperienze della celebre cantante nel mondo del cinema. Il Corriere della Sera, p.13
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