Pier Paolo Pasolini e Dario Fo. Una polemica sul teatro.
Pier Paolo Pasolini da “Dibattito al Teatro Gobetti” in "Quaderni del Teatro Stabile"Orgia (1968/69) © Vitaliano Davetti/Riproduzione riservata
"Ho scritto quest'opera teatrale dal 1965 al 1974, attraverso continui rifacimenti, e quel che più importa, attraverso continui aggiornamenti: si tratta, infatti, di una autobiografia. Quindi, man mano che passava il tempo, e tenevo l'opera inedita a causa dei continui rifacimenti - passava anche la mia vita, e si rendevano dunque necessari anche i continui aggiornamenti. Nell'estate del 1974 ho deciso di smettere. Con gli aggiornamenti, ma non con i rifacimenti (per cui l'opera è rimasta ancora per più di un anno inedita: chiudendosi così il decennio 1965-75). Nell'estate del 1974 ho scritto praticamente la lunga appendice. Che il lettore, se vuole, può però non leggere. L'opera finisce con la parole « ebbro d'erba e di tenebre ». Poi nell'appendice ci sono ancora cose importanti (per me), ma la « fine » (la cui risonanza nel silenzio della « fine » è di solito lo stilema più bello dell'opera) è lì.
L'Italia è un paese che diventa sempre più stupido e ignorante. Vi si coltivano retoriche sempre più insopportabili. Non c'è del resto conformismo peggiore di quello di sinistra: soprattutto naturalmente quando viene fatto proprio anche dalla destra. Il teatro italiano, in questo contesto (in cui l'ufficialità è la protesta), si trova certo culturalmente al limite più basso. Il vecchio teatro tradizionale è sempre più ributtante. Il teatro nuovo - che in altro non consiste che nel lungo marcire del modello del « Living Theatre » (escludendo Carmelo Bene, autonomo e originale) - è riuscito a divenire altrettanto ributtante che il teatro tradizionale. È la feccia della neoavanguardia e del '68. Sì, siamo ancora lì: con in più il rigurgito della restaurazione strisciante. Il conformismo di sinistra. Quanto all'ex repubblichino Dario Fo, non si può immaginare niente di più brutto dei suoi testi scritti. Della sua audiovisività e dei suoi mille spettatori (sia pure in carne e ossa) non può evidentemente importarmene nulla. Tutto il resto, Strehler, Ronconi, Visconti, è pura gestualità, materia da rotocalco. È naturale che in un simile quadro il mio teatro non venga neanche percepito. Cosa che (lo confesso) mi riempie di una impotente indignazione, visto che i Pilati (i critici letterari) mi rimandano agli Erodi (i critici teatrali) in una Gerusalemme di cui mi auguro che non rimanga presto pietra su pietra."
Pier Paolo Pasolini. Porcile, Orgia, Bestia da stile. Garzanti, Milano (1979)
È senz’altro uno dei più grandi uomini di cultura del nostro tempo. Ha avuto uno straordinario rapporto di coerenza con la propria vita. È stato un letterato di grande forza e genialità. Ma non era un uomo di teatro. Capisco la sua disapprovazione nei miei confronti. Io avevo, tempo fa, accennato alla sua impossibilità, parlando di un suo lavoro che aveva cercato di mettere in scena, impossibilità di "far teatro". Il suo lavoro non stava in piedi, era solo letteratura, non aveva le basi fondamentali per il teatro, non aveva i dialoghi adatti per il teatro né il ritmo, né l’impostazione. E lui, per tutto questo, si era molto offeso, era tignoso. Ecco come spiego questa dichiarazione negativa nei miei confronti.
Felix Cossolo intervista a Dario Fo, Babilonia (1986)
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