top of page

«Non sono un reazionario. Ma purtroppo so anche che non si può proporre niente per modificare questo mondo. Il capitale fa quello che vuole». Una riflessione sul convegno Pasolini conservatore.

  • Immagine del redattore: Città Pasolini
    Città Pasolini
  • 4 ore fa
  • Tempo di lettura: 10 min
ree

Pier Paolo Pasolini immortalato da Anatole Saderman nel 1962-63, Roma © Anatole Saderman/Galleria La Nuova Pesa/Tutti i diritti riservati

«Pier Paolo sei un reazionario e conservatore». Nel maggio del 1969, Pasolini riceve un biglietto da uno dei suoi lettori della rubrica Il caos, che egli curava per il settimanale Tempo[1] Sotto il titolo Uno studente di sinistra, il poeta confronta questo messaggio con un altro pervenutogli da Un ragazzo del popolo. Quest’ultimo, manifestando nostalgia per l’epoca degli squadristi e per la Germania di Hitler, rappresenta agli occhi di Pasolini la lettera di una persona “del popolo”, lontana dai «quegli odiosi fascistini, figli di papà, che scrivono come Delcroix»[2]. La curata correzione grammaticale che egli fa del testo gli rivela l’esistenza di un delizioso dialettismo, «che non poteva non commuovermi e non ispirarmi simpatia» per il mittente. Il poeta interpreta le intenzioni di questo ragazzo popolare come mosse dal desiderio di migliorarsi, pur in termini piccolo-borghesi. Egli scrive che il cambiamento soltanto può avvenire: «Appunto con i mezzi e gli argomenti di chi è tipicamente piccolo-borghese: per esempio dei coetanei «fascistini, figli di papà», che tu magari ammiri per la loro condizione sociale leggermente superiore, per il loro linguaggio abile ed esaltato, per il loro idealismo (che, come un giorno ti accorgerai, è falso e degenere).»


Al contrario, lo studente di sinistra viene descritto da Pasolini come un terrorista intellettuale: «Te sei di sinistra, di estrema sinistra, più a sinistra di tutti, eppure sei fascista: sei fascista perché sei ignorante, prepotente, incapace di seguire la realtà, schiavo di alcuni princìpi che ti sembrano incrollabilmente giusti e che così sono divenuti una fede».[3]


Per Pasolini il fascismo è un fenomeno culturale e come tale può vivere anche a sinistra. Nel dicembre 1974 dichiarerà che esiste un antifascismo «oltretutto pericoloso perché rischia con il suo conformismo e la sua intolleranza di fare dei fascisti reali dei martiri ingiustificati».[4] In questo momento il fascismo è per lui «quello che i sociologi hanno troppo bonariamente chiamato la società dei consumi».[5]


Il giudizio di Pasolini nei confronti dei giovani, soprattutto dal 1968 in poi, appare radicale e irrevocabile: «Sono pessimista, in modo completo e totale. Se avessi un figlio, oggi, sarei disperato».[6] Neppure i giovani comunisti rappresentavano, ai suoi occhi, un’eccezione: «Nemmeno. All’ideologia sana, comunista, si sovrappone quella malata, quotidiana e generalizzata. L’ideologia consumistica e televisiva. Sono andato a un festival dell’Unità, e se non ci fossero state le bandiere rosse non mi sarei accorto guardandoli, che stavo fra ragazzi comunisti. Anche loro hanno acquistato la serietà nevrotica dei piccolo-borghesi».[7]


Pienamente consapevole che queste sue parole avrebbero causato un grande scalpore scriverà: «Lo so bene che dico delle cose terribili, e anche apparentemente un po' reazionarie. Ma su questo punto ti ho raccomandato più volte caldamente di non meravigliarti, e tantomeno scandalizzarti».[8] E anche: «Sento già i loro argomenti: è retrivo, reazionario, nemico del popolo».[9]


Tali posizioni gli attirarono critiche provenienti tanto da destra quanto da sinistra. Giuseppe Prezzolini, scrittore di orientamento conservatore, lo accusò di «mancanza di cultura storica, di senso comune e di razionalità elementare».[10] Ancor più severo fu Nanni Ballestrini, consulente editoriale per Feltrinelli e figura irriverente dell’avanguardia letteraria, formulò un giudizio drasticamente negativo pure: «Un’impressione penosa, la sopravvivenza del letterato vate, che sa tutto e interpreta tutto. In modo apodittico e repressivo: ho parlato io, e basta. E dice, in sostanza, un cumulo di sciocchezze, un chiacchiericcio inutile. Mentre il fascismo è una cosa seria».[11]


È evidente che ciò non implica in alcun modo — come alcuni hanno sostenuto — che Pasolini fosse giunto, al termine del suo travagliato percorso intellettuale, nell’orbita della destra: «Sono marxista, da sempre. Il guaio è che non ho tessere, e non rispondo a nessuno. Soprattutto non sono un uomo politico, non ho la loro visione pratica dei problemi, non m’interessa lo spaccato generale».[12] 


Egli rimase sempre comunista; tuttavia, percepiva ormai tale dicotomia come effimera, transitoria, dissolta, divenuta obsoleta:


«L'Italia non è mai stata capace di esprimere una grande Destra. È questo, probabilmente, il fatto determinante di tutta la sua storia recente. Ma non si tratta di una causa, bensì di un effetto. L'Italia non ha avuto una grande Destra perché non ha avuto una cultura capace di esprimerla. Essa ha potuto esprimere solo quella rozza, ridicola, feroce destra che è il fascismo. In tal senso il neofascismo parlamentare è la fedele continuazione del fascismo tradizionale. Senonché, nel frattempo, ogni forma di continuità storica si è spezzata. Lo «sviluppo», pragmaticamente voluto dal Potere, si è istituito storicamente in una specie di epoché, che ha radicalmente «trasformato», in pochi anni, il mondo italiano».[13]


«Anche quest'anno, come sempre, voto comunista. Lo sai bene, il voto è un fatto estremamente privato, delicatamente privato, addirittura patologicamente privato. Bene, la mia vita privata è tormentata dal suo contrario: dall'ufficialità che, letteralmente, non vuole ammettere la mia esistenza. E mi destina a uno stato - che rischia di diventare ridicolo- di perseguitato […] Ciononostante voto per il P ci senza il minimo dubbio, o la minima incertezza interiore. Perché so che la razionalità del marxismo è più forte di qualsiasi contingenza anche sgradevole, di qualsiasi situazione particolare che regoli i rapporti tra i comunisti di estrazione o formazione borghese».[14]


Soprattutto negli anni Settanta, egli sosteneva che il vero pericolo non fosse un “ritorno” del fascismo storico, ma un nuovo fascismo più subdolo, diverso da quello che l’Italia aveva conosciuto sotto il regime di Mussolini:


«Credo che stiamo scivolando impercettibilmente in un neofascismo più pernicioso di quello che abbiamo conosciuto tra le due guerre. Ho tutte le ragioni di temere che quest'abisso dove stiamo per precipitare sia peggiore di quello già vissuto […] Ci aspettiamo la catastrofe da parte dei gruppuscoli nostalgici del colpo di Stato o del Tnt, per concederci il diritto a una sana indignazione antifascista, e nel contempo dimentichiamo che gli eredi del fascismo arcaico stanno al parlamento, e parlano un linguaggio più sottile, un linguaggio di massa, aggiornato in funzione dei bisogni che sono stati imposti, e per così dire inculcati alle masse».[15]


Di fronte a un attacco tanto trasversale, Pasolini si interrogò sulle sue possibili cause, proponendo una spiegazione che rinvia alla singolarità della propria posizione intellettuale: «Forse perché non rappresento altro che me stesso, non ho dietro né gruppi né partiti. Parlo sempre a titolo personale quasi vivendo nel mio corpo quello che dico. E sono sempre coerente, mi vanto di una coesività quasi da laboratorio strutturalista. Sono un tutto solidale, come direbbe Lévi-Strauss».[16]


Pasolini rivendica quasi con orgoglio le accuse di conservatorismo che gli vengono rivolte. A sostegno della propria posizione egli richiama l’esempio di Benjamin Spock, il padre della pedagogia americana improntata alla permissività totale e assoluta, le cui teorie hanno informato in larga misura l’educazione degli ultimi decenni. Anche Spock, sottolinea Pasolini, ha compiuto un significativo passo indietro e non teme più di essere tacciato di reazionarismo: «Non ho paura affatto, come ho dimostrato in questa poesia che vi ho letto, di rischiare di essere chiamato conservatore e reazionario, perché questa è una cosa che poteva terrorizzare una persona dieci anni fa, ma oggi le cose sono talmente cambiate, che non c'è da aver paura; la verità va detta a qualunque costo». [17]


Uno di questi momenti caldi, in cui si delinea l’idea di un Pasolini conservatore e reazionario, avviene con la sua presa di posizione contro l’aborto, la quale non intende incitare alla lotta contro la società che approva l’aborto, ma di fomentare una sana discussione riguardo ad esso non come atto in sé ma come conseguenza di specifiche cause, prime tra tutte il rapporto sessuale:


«Credo che questo mio punto di vista non sia stato ancora chiarito in maniera sufficiente. Su questo argomento, ho in progetto di scrivere presto una serie di articoli. Spero così di chiarire in maniera definitiva che il mio non è affatto il punto di vista che hanno in proposito la Chiesa o i conservatori».[18] 


«Come cani rabbiosi, tutti si sono gettati su di me non a causa di quello che dicevo (che naturalmente era del tutto ragionevole) ma a causa di quella «tinta». Cani rabbiosi, stupidi, ciechi. Tanto più rabbiosi, stupidi, ciechi, quanto più (era evidente) io chiedevo la loro solidarietà e la loro comprensione».[19]


Molto critico anche con un femminismo ufficiale che, lo accusa di Pasolini di «antifemminismo viscerale»[20] ma che, secondo le sue stesse parole: «così come oggi si presenta, è negativo, perché impone moralismi, esigenze, canoni e formule alle donne, accrescendo soltanto la confusione e la tensione. Vi è però un femminismo più semplice, come quello dell’UDI – il movimento delle donne comuniste – che considero giusto: esso aiuta la donna a risolvere i propri problemi sociali».[21] Le feroci critiche arrivano anche dagli amici più stretti come Alberto Moravia, «da qualche tempo Pier Paolo Pasolini, per motivi certamente seri e profondi che non mi curo di definire, cerca lo scandalo»[22] o Dacia Maraini, «è sintomatico che nel tuo articolo non parli mai delle donne.»[23].


Inoltre, secondo il poeta le istituzioni sono sempre state intrinsecamente conservatrici e, quindi, egli si pone in opposizione costante ad esse: «le azioni estremistiche della destra sono dettate e calcolate nel cuore delle istituzioni, ed elaborate da un'ideologia autoritaria e tradizionalistica, che, per vecchio e collaudato machiavellismo, adotta soluzioni teppistiche o criminali».[24] Tuttavia, Pasolini si ribellerà all’integrazione dell’intellettuale nel sistema:


«Il sistema riesce sempre a integrare gli individui, ma non dobbiamo temere l’integrazione. Una volta integrati, dobbiamo ribellarci di nuovo […] E così, nel mio piccolo, entro i limiti della mia personalità, accade lo stesso: anche se il sistema mi integra, non perdo la mia attitudine critica nei suoi confronti. Sarà poi il sistema, di nuovo, a dovermi riassorbire, e io, di nuovo, a sfuggirgli. È una sorta di fuga perpetua — un continuo essere catturato e sottrarsi, ripreso e poi evaso ancora.»[25]


Pasolini interveniva direttamente nel dibattito pubblico per enunciare le proprie visioni, misurandosi senza mediazioni con il pubblico e con le giovani generazioni. Da tali confronti emergevano discussioni intense, scambi talvolta tesi, scanditi da fischi, applausi e continue interruzioni. E quando affermava che «il Potere si accinge di fatto ad assumere gli intellettuali progressisti come propri chierici»,[26] era consapevole di infliggere uno schiaffo ideale all’intera platea. Le reazioni, infatti, non tardavano a manifestarsi in forma di interruzioni e proteste. Pasolini, tuttavia, proseguiva senza esitazione:


«Le certezze laiche, razionali, democratiche, progressiste: così come sono non valgono più. Il divenire storico è divenuto, e quelle certezze sono rimaste com'erano»[27] 


«Non sono un reazionario. Ma purtroppo so anche che non si può proporre niente per modificare questo mondo. Il capitale fa quello che vuole».[28]


Poiché Pasolini, le sue esperienze le ha pagate «di persona»[29] non possiamo tacere davanti alle profonde manipolazioni interpretative alle quali stiamo assistendo ogni giorno. Tanto la sua persona quanto la sua vasta produzione – letteraria, cinematografica, e teorica – sono state spesso semplificate, decontestualizzate o piegate a esigenze politiche, culturali e mediatiche che nulla hanno a che fare con la densità del suo pensiero. La tendenza a isolare singoli frammenti della sua opera, trasformandoli in slogan, da lui definiti come casi di «espressività aberrante»[30], contribuiscono a creare una versione riduttiva e talvolta caricaturale di Pasolini: un autore contraddittoriamente diviso tra icona scomoda e profeta funzionale alle letture più diverse, persino opposte.


Silvia Martín Gutiérrez. «Non sono un reazionario. Ma purtroppo so anche che non si può proporre niente per modificare questo mondo. Il capitale fa quello che vuole». Una riflessione sul convegno Pasolini conservatore, 25 novembre 2025.

[1] P.P. PASOLINI, Un ragazzo del popolo. Uno studente di sinistra, Il caos, sul «Tempo» 1969 n. 22, 31 maggio 1969, ora in Id., Pasolini. Saggi sulla politica e sulla società, ed. W.SITI e S. DE LAUDE, Milano, Mondadori, 1999, pp.1213-1215.

[2] Deputato fascista Carlo Delcroix.

[3] P.P. PASOLINI, Un ragazzo del popolo. Uno studente di sinistra.

[4] P.P. PASOLINI, L'antifascismo come genere di consumo, intervista da Massimo Fini, su «L'Europeo», 26 dicembre 1974, n.52, p.44

[5] P.P. PASOLINI, L'antifascismo come genere di consumo, intervista da Massimo Fini, su «L'Europeo», 26 dicembre 1974, n.52, pp.44-46, ora in Scritti corsari, con il titolo Fascista in Id., Pasolini. Saggi sulla politica e sulla società, ed. W.SITI e S. DE LAUDE, Milano, Mondadori, 1999, p.519.

[6] P.P. PASOLINI, Lo scandaloso PPP, intervistato da Emilia Granzotto, su «Panorama» 8 agosto 1974, pp.52-57.

[7] Ibidem.

[8] P.P. PASOLINI, Vivono, ma dovrebbero essere morti, in Lettere luterane, in Id., Pasolini. Saggi sulla politica e sulla società, ed. W.SITI e S. DE LAUDE, Milano, Mondadori, 1999, p.543.

[9] P.P. PASOLINI, I giovani infelici, in Lettere luterane, in Id., Pasolini. Saggi sulla politica e sulla società, ed. W.SITI e S. DE LAUDE, Milano, Mondadori, 1999, p.543.

[10] P.P. PASOLINI, Lo scandaloso PPP.

[11] Ibidem.

[12] P.P. PASOLINI, Lo scandaloso PPP.

[13] P.P. PASOLINI, Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia, sul «Corriere della Sera» col titolo Gli italiani non sono più quelli, ora in Scritti corsari, in Id., Pasolini. Saggi sulla politica e sulla società, ed. W.SITI e S. DE LAUDE, Milano, Mondadori, 1999, p.307.

[14] P.P. PASOLINI, «Voto P ci per contribuire a salvare il futuro», intervista di Paolo Spriano, su «L'Unità», 20 aprile 1963, ora in Altre interviste, in Id., Pasolini. Saggi sulla politica e sulla società, ed. W.SITI e S. DE LAUDE, Milano, Mondadori, 1999, p.307.

[15] P.P. PASOLINI, Da un fascismo all'altro, in Il sogno del centauro, interviste con Jean Duflot, 1969-1975, in Id., Pasolini. Saggi sulla politica e sulla società, ed. W.SITI e S. DE LAUDE, Milano, Mondadori, 1999, p.1527.

[16] P.P. PASOLINI, Lo scandaloso PPP.

[17] P.P. PASOLINI, Volgar’eloquio, in Petrolio, in Id., Dichiarazioni: inchieste, dibattiti, in Id., Pasolini. Saggi sulla letteratura e sull’arte, vol. II., ed. W. SITI e S.DE LAUDE, Milano, Mondadori, 1999, p. 1684

[18] P.P. PASOLINI, Il nudo e la rabbia. Cinema, aborto, anticonformismo in un dialogo con lo scrittore, intervista di Luisella Re, su «La Stampa», 9 gennaio 1975.

[19] P.P. PASOLINI, Paragrafo terzo: ancora sul tuo pedagogo, «Il Mondo», 20 marzo 1975, ora col titolo Io sono come un negro: vogliono linciarmi, in Lettere luterane, in Id., Pasolini. Saggi sulla politica e sulla società, ed. W.SITI e S. DE LAUDE, Milano, Mondadori, 1999, p.559.

[20] I. FARÉ, Pasolini immerso nelle acque prenatali, sul «Quotidiano dei lavoratori», 21 gennaio1975.

[21] P.P. PASOLINI, Ci dica Pasolini, è con noi o contro di noi? intervista di di Mariateresa Clerici, su «Amica», 18 agosto 1974, pp.22-25.

[22] A. MORAVIA, Lo scandalo Pasolini sul «Corriere della Sera», 24 gennaio 1975.

[23] D. MARAINI, Una femminista contro Pasolini, SU «La Stampa», 25 gennaio 1975.

[24] P.P. PASOLINI, Prologo: E. M., su «Nuovi Argomenti» n.31, gennaio-febbraio 1973, come prologo a Otto domande sull’estremismo, in Saggi sparsi, in Id., Pasolini. Saggi sulla politica e sulla società, ed. W.SITI e S. DE LAUDE, Milano, Mondadori, 1999, p.251.

[25] P.P. PASOLINI, Pier Paolo Pasolini: vivre et encore plus, Michel Random, 1974, Ina France.

[26] P.P. PASOLINI, Lo scandalo radicale. "Numero unico" per il 35º Congresso del Partito Radicale - Budapest 22-26 aprile 1989 - Edizioni in Inglese, Ungherese, Serbo Croat.

[27] P.P. PASOLINI, Lettera luterana a Italo Calvino, su «Il Mondo», 30 ottobre 1975, in Lettere luterane, ora in Id., Pasolini. Saggi sulla politica e sulla società, ed. W.SITI e S. DE LAUDE, Milano, Mondadori, 1999, p.702.

[28] P.P. PASOLINI, Ma la donna non è una «slot machine", su «L'Espresso», 22 ottobre 1972, intervista rilasciata a Dacia Maraini, ora in Altre interviste, in Id., Pasolini. Saggi sulla politica e sulla società, ed. W.SITI e S. DE LAUDE, Milano, Mondadori, 1999, p.1696.

[29] P.P. PASOLINI, Siamo tutti in pericolo, intervista di Furio Colombo, 8 novembre 1975, su «La Stampa-Tuttolibri», fu riproposta con una premessa di Colombo su «l’Unità» del 9 maggio 2005, ora in Id., Pasolini. Saggi sulla politica e sulla società, ed. W.SITI e S. DE LAUDE, Milano, Mondadori, 1999, p.1730.

[30] P.P. PASOLINI, Il «folle» slogan dei jeans Jesus, sul «Corriere della Sera»,17 maggio 1973, p.2. in Scritti corsari, in Id., Pasolini. Saggi sulla letteratura e sull’arte, vol. II., ed. W. SITI e S.DE LAUDE, Milano, Mondadori, 1999, p. 1278.



© Contenuto protetto da copyright

 © 2014 Città Pasolini

bottom of page