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Pasolini presenta a Cannes "Il fiore delle Mille e una notte" (1974)



Ninetto Davoli, Pier Paolo Pasolini, Tessa Bouche al Festival di Cannes per la prima del film "Il fiore delle Mille e una notte" (1974) © AFP/Riproduzione riservata

"Ho scelto la narrativa pura, ho riscoperto il cinema come si vedeva da ragazzi. Chi si aspetta da me uno scandalo, non ha capito che il vero scandalo è questo"

Pier Paolo Pasolini


Cannes, 19 maggio 1974

Con "Il fiore delle Mille e una notte" - in concorso domani al Festival - Pier Paolo Pasolini conclude la trilogia di opere derivate dalla grande letteratura di tutti i tempo. Decameron e I racconti di Canterbury, Bocaccio e Chaucer, hanno decretato una nuova fama all'autore lirico e schivo che sembrava preso soprattutto dal discorso ideologico.

"Ma la trilogia è un discorso ideologico - prorompe Pasolini - perché comprende tutti i miei miti, tutte le mie memorie. Non rappresenta un'evasione, non costituisce una concessione. Per me sarebbe stato facilissimo girare un film politico in senso stretto. Io mangio pane e ideologia tutti i giorni. Invece ho scelto la narrativa pura, ho riscoperto il cinema come si vedeva da ragazzi. Chi si aspetta da me uno scandalo, non ha capito che il vero scandalo è questo"

"Il pubblico, il grosso pubblico, ha capito questo. So già che mi si verrà a dire che le masse sono state atratte da un interesse sessuale. Benissimo. L'interesse sessuale fa parte dell'uomo, non è secondo a un interesse religioso o filosofico. So anche che mi si accusa di avere aperto la porta all'invasione dei prodotti sexy. Non è mia colpa. Io ho avuto il merito di fare per primo il discorso della libertà totale dell'immagine con Decameron. Senza il Decameron, Ferreri e Bertolucci non si sarebbero mossi, Ultimo tango a Parigi e La grande abbuffata"

Di chi è la colpa del malinteso? Il pubblico, anche quando manifesta un interesse "deplorevole" per le decameronate, secondo Pasolini si muove almeno in avanti:

"Posso capire che un ragazzo di essere contestato da un ragazzo di vent'anni. Ma non da un conservatore che subisce il ricatto di persone che in cuor suo disprezza (cioè gli estremisti) e si fa bello degli argomenti altrui. Non mi sembra corretto"

Forse per questo Pasolini riserva, nelle ultime opere, un trattamento di favore agli spettatori. Lui che anni fa aveva teorizzato il cosiddetto cinema di poesia contro il cinema di prosa preferendo che si sentisse la presenza viva della macchina da presa, ora nelle "Mille e una notte" sottolinea la "passività" dell'obiettivo:

"Ho lasciato finire il mondo profilmico così come fluiscono i sogni e la realtà. Del resto il destino nel combinare in un gioco erotico gli avvenimenti, non ha certo bisogno dell'ausilio di una macchina da presa"

Un discorso semplice, un'aspirazione alla favola: "I critici non vedono con simpatia questo mio insistere in film apparentemente non attualistici e non ideologici. Io invece sento quanta passionale autorità e quale complesso ingorgo ideologico mi spinga a questi film (e anche quanta ambizione). Se Fellini avesse dato retta alle impazienze dei giornalisti, non avrebbe fatto quel bellissimo film che è "Amarcord". In poche parole, il tempo di un autore non è quello dei quotidiani"





A Cannes con le sue "mille e una notte". Un Pasolini anticlericale. Un testo da Piero Perona per "La Stampa" 20 maggio 1974, p.6 © La Stampa Archivio Storico

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