Diverse persone davanti al luogo in cui venne trovato il corpo martoriato di Pier Paolo Pasolini il 2 novembre 1975 © Marcello Geppetti /Archivio MGMC/Tutti i diritti riservati
Roma, 4 novembre.
Al centro c'è un barattolo di latta, rivestito di carta, con garofani rossi e crisantemi bianchi. Tutt'intorno sassi calcinati, blocchetti di tufo, pietre di diversa misura tracciano il perimetro entro cui Pier Paolo Pasolini cadde e fu investito dall'auto in fuga del suo uccisore. Nella terra sabbiosa, impastata di grumi rossastri è piantata una croce di legno ricavata da due assi sconnesse. Sotto il sole intenso appassiscono fiori sparsi, lanciati da mani pietose La gente arriva e si dispone a qualche metro di distanza. Prima osserva in silenzio, poi si avvicina al misero tumulo e punta il dito, chiede, discute.
È un pellegrinaggio ininterrotto. Da lontano si vedono le macchine parcheggiate alla rinfusa lungo via dell'Idroscalo e le strette traverse che conducono al mare. Sono auto di ogni cilindrata. Qualcuno arriva anche in autobus: uno straniero viene avanti consultando una cartina e coi giornali fra le mani. Intere famiglie hanno scelto questa triste meta per la passeggiata festiva. Appena un'occhiata viene data alla sequela allucinante di casupole, baracche, costruzioni abusive che pullulano alla rinfusa fra le dune di sabbia. Tutti si dirigono dritti al luogo in cui si è consumata la tragedia. I bambini avanzano saltellando, allegri.
Le discussioni si accendono qua e là. Sono discorsi «tecnici». Possibile che un ragazzo di 17 anni abbia potuto infierire da solo su un uomo forte e sportivo come Pasolini? A uccidere è stato uno, o lo hanno aggredito in parecchi? L'auto che lo ha investito aveva i fari accesi o spenti? Perché il corpo è stato trovato in questo punto: Pasolini stava fuggendo al suo aggressore o voleva inseguirlo?
Appena si forma un nuovo capannello, si ricomincia daccapo. Ma i discorsi non sono, in realtà, mai uguali. Ciascuno mette qualcosa di proprio negli interrogativi che pone e nelle risposte che trova. Gusto per il particolare sadico, puntigliosa predilezione per «certi» aspetti del dramma, lambiccate ricostruzioni della sequenza mortale, oscene ipotesi sui moventi dello scontro.
È una morte che suscita indecenti curiosità. Si capisce che le notizie sulla tragica notte di sabato sono state inghiottite con avidità, consumate, analizzate, scomposte e ricomposte infinite volte. La gente se ne è impossessata brutalmente, come dell'occasione per gettare lo sguardo fra le pieghe della vita privata di un personaggio illustre, contemplare e misurare le sue debolezze, sentirsi forte ora che lui è stato umiliato così profondamente e spogliato di tutto, anche della vita. E c'è quel mondo oscuro — deviazione sessuale, peccato, vergogna, malavita, corruzione, vizio, genio, sregolatezza — che in Pasolini adesso s'incarna, finalmente svelato e subito punito, quindi meno pericoloso, in qualche modo esorcizzato.
A visitare il luogo in cui l'artista ha perso la vita non vengono i suoi amici («Che vergogna! Neanche un regista, un attore ha portato un fascio di fiori o ha incaricato qualcuno di comprarli!» dice un vecchio e indica — unico personaggio che apparteneva all'esistenza di Pasolini — una donna rattristata, raccolta in silenzio da una parte: la sarta dei suoi film). Né si spingono fin qui coloro che sinceramente sono stati feriti da questa perdita, quanti ammiravano la genialità del poeta e del regista, si riconoscevano nelle sue battaglie.
Mentre la gente si accalca intorno al povero cippo, un gruppo di ragazzini passa sulla via centrale. Hanno facce sudate, abiti sbrindellati. Ritornano da una partita di pallone. Uno di loro, l'aria proterva, gli occhi scuri bellissimi, chiede: «Ma insomma, chi era questo Pasolini? Perché tutta questa "fiera" per Pasolini?». Nessuno gli risponde. Lui sentenzia: «Era un poveraccio, ecco. Uno come noi». E prosegue per la sua strada, spavaldo.
l.mad. Pellegrinaggio della folla dov'è stato ucciso Pasolini .Curiosità morbosa fra le baracche di Ostia su La Stampa, 4 novembre 1975, p.2.
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