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  • Immagine del redattoreCittà Pasolini

Pier Paolo Pasolini in Turchia e Siria per le riprese della Medea. Fuori dal mondo.


Mite solitudine del Qualat Sm’aan,

se un poeta non fa più paura è meglio che abbandoni il mondo.[1]

 



Pier Paolo Pasolini dirige Maria Callas durante le riprese del film "Medea" in Turchia (1970) © Mimmo Cattarinich/Associazione Culturale MImmo Cattarinich/Tutti i diritti riservati

Il 27 maggio 1969 era martedì, Pier Paolo Pasolini, dopo tre o quattro ore di aeroplano, arrivò nella capitale della Turchia, Ankara, in un volo proveniente da Roma[2]. Dall’Aeroporto Internazionale Esenboğa il poeta proseguì per Kayseri, in epoca romana Cesarea di Cappadocia.  Stavano per cominciare le riprese del suo nuovo film, Medea e la troupe aspettava l’arrivo della Callas[3], attesa per l’ultimo giorno del mese.[4]


Nel marzo 1969, cioè soltanto tre mesi prima dell’inizio del lavoro della Medea, Pasolini si era recato in Turchia per approfondire sui luoghi in cui ambientare il film[5]. Sin dal 1964 fino al 1974 fu abituale che Pasolini facesse molteplici viaggi per conoscere meglio i luoghi che dovrebbero servire come location dei suoi film. Gli esempi sono numerosi, Israele, Palestina e Siria nel 1963 per Il Vangelo secondo Matteo, Romania e Marocco per l’Edipo re oppure lo Yemen, del nord e del sud, Eritrea, Iran, Nepal, Etiopia, Persia e, di nuovo l’India, per Il fiore delle Mille e una notte. Tutti questi paese, questi luoghi geografici così diversi si legano nella categoria pasoliniana del Terzo Mondo poiché i temi fondamentali del Terzo Mondo sono gli stessi per tutti i paesi che vi appartengono[6].


Nell’ambito dei sopralluoghi in Turchia, il 22 marzo del 1969 Pasolini scrive un testo sulla città di Kayseri. E lo fa all’interno rubrica Il caos, incontro settimanale che lui ha con i lettori del settimanale Tempo: E da poeta vero, anche se in veste di giornalista, parlerà da oggi ai nostri lettori, che impareranno a conoscerlo, fuori d’ogni leggenda, nella sua inesorabile, e pur così pietosa, trepidità ed intrepidità di vita.[7]


Con il titolo Una trasformazione sacrilega[8], Pasolini descrive sia questa città del centro dell’Anatolia che la capitale della Turchia, Ankara. Il modo in cui lui ci racconta la realtà turca è attraverso un sistema di opposizione, che ha sempre come parametro di riferimento l’Italia. Ricordiamo che già nel suo primo viaggio in India Pasolini ricorse a questo dispositivo letterario, mettendo a confronto i luoghi indiani con altri italiani. [9] È così che il Malabar Hill[10] a Mumbai è un quartiere simile al Parioli; Il Taj Mahal è il San Pietro dell’India eppure[11] Tagore è un poeta dialettale come Pascarella.[12]


In questo saggio del 1969, Pasolini stabilisce delle analogie fra Ankara - l’EUR e Kayseri - Arezzo: Da Roma ad Arezzo c'è la stessa distanza che da Ankara a Kayseri [13]. Per quanto riguarda le capitali, della Turchia e dell’Italia, non esiste più una nozione di antichità che serva per delimitare sia Roma che Ankara, a definirle è adesso il concetto di degenerazione. Quello che unisce queste due realtà è una trasformazione avvenuta per accumulazione, disordinata e sacrilega.


Ankara è una metropoli in costruzione, con grattacieli che dentellano la capricciosa pianura sotto la vecchia montagna dove sorgeva l'antica Ancira, e ancora sorge, in tutte le sue stratificazioni: due fila di mura di cinta, antiche e medioevali, il suck[14], il cafarnao. Ma è lontana, recurre aseparata, fumigante. Ankara è ormai una specie di Manhattan, dispersa e frammentaria, nuova di zecca sul fango.[15]


Giungo a Roma. L'Eur, il viale Cristoforo Colombo, la Garbatella ricostruita in parte in stile neocapitalistico, ecc. La differenza tra la nuova Roma e la nuova Ankara consiste soltanto nel fatto che Ankara è più nuova, e ha appunto come modello Manhattan.[16]


Per Kayseri ed Arezzo, la sua "piccolezza immensa", viene turbata, lesa, angariata, deformata, delusa dall'apparire casuale e disordinato delle parti moderne delle città.[17] Il problema comune, condiviso da queste due città così lontane, ma così vicine per Pasolini, è quello della distruzione del vecchio mondo e della ricostruzione di uno nuovo: La sua avanzata è inarrestabile:[18]


Gli uomini come me - possessori del passato -  vivono in uno stato totale di frustrazione: il non vincere mai, l’essere votati alla sconfitta, inaridisce. Ecco dunque la decisione che si deve prendere: o lottare “veramente” per ottenere qualche vittoria (nell’orizzonte mentale della nostra vecchia cultura), o accettare di rendersi complici di ciò che consideriamo “sacrilegio”, ma che la storia stessa sta compiendo.[19]


L’Italia del boom economico aveva visto la fine del mondo rurale, l’Africa,sopravvissuta alle politiche coloniali, nella fine degli anni sessanta si trova in una situazione di transizione tra un mondo arcaico originario e uno sviluppo democratico fondato sull’adozione di modelli economici politici e culturali estranei alla sua cultura. Lo scontro tra mondo moderno e mondo primitivo lo mostra sia visivamente che attraverso la prosa e la poesia.


Il 3 maggio 1969 viene pubblicato su Tempo, sempre nella rubrica Il Caos, il saggio Lungo le rive dell'Eufrate.[20] Si tratta di un testo che si trasformerà in poesia: La trasformazione degli appunti in versi è stata irrefrenabile, non so che farci. Posso dare tutt'al più qualche spiegazione, che può essere di aiuto relativo, perché l'ambiguità della poesia non è nella sua lettera.[21] Qui, Pasolini elenca diverse città come al-Raqqa, Homs ed Aleppo[22]:


Quanto ad Aleppo non c'è più una carrozza vittoriana. Il suck è stato sbriciolato e tagliato a metà da una sua via della Conciliazione. L'ansia del consumo fa dei maschi di questa città tanti bovaristi, in attesa di un Burghiba. Dappertutto i segni della scomparsa. Beata Sergiopoli protetta, finora, dal deserto verdognolo![23]


Descrive anche diversi monumenti e posti rilevanti, il Ḥoṣn al-Akrād ovvero Krak dei Cavalieri, il castello medievale per eccellenza d'età crociata; rovine di al-Ruṣāfa, città conosciuta anche come Sergiopoli, che sorgono nel deserto siriano; la valle di Haran che, secondo lui, resisterà ancora poco, alla scomparsa eppure Qal’at Sim’an, sorto nel luogo in cui Simeone Stilita il Vecchio, il primo asceta cristiano:


È la débâcle del fango. Lungo le rive dell'Eufrate sopra la terra così vecchia il verde della vegetazione è spennellato, appena, leggero come un sonnellino pomeridiano al sole. L'Eufrate imbarbarito attende il cemento.[24]


Uno dei modi in cui Pasolini ci racconta i paessaggi del Terzo Mondo è attraverso i colori, soprattutto dal momento in cui i suoi film abbandonano il bianco e nero. Questo cambiamento, in certo modo traumatico per il regista diventa anche un elemento simbolico che si aggiunge ad altri che sono stati presenti sin dalle sue prime produzioni. L'uso del colore si evolverà per integrarsi come risorsa narrativa dei film:


Ogni sforzo ricostruttore della memoria è un «seguito di im­segni», ossia, in modo primordiale, una sequenza cinematografica. (Dove ho visto quella persona? Aspetta... mi pare a Zagorà - im­magine di Zagorà coi suoi palmizi verdini contro la terra rosa - ... in compagnia di Abd el-Kader... - immagine di Abd el-Kader e della «persona» che camminano contro le casermette degli ex avamposti francesi - ecc.) E così ogni sogno è un seguito di im­segni, che hanno tutte le caratteristiche delle sequenze cinemato­grafiche: inquadrature di primi piani, di campi lunghi, di dettagli ecc. [25]


La riduzione del numero di colori in ciascuno dei fotogrammi ha la funzione precisa di presentare una chiarezza compositiva:


In tutti i miei film a colori ho fatto in modo che i paesaggi e i luoghi scelti fossero già cromaticamente selezionati. Quando ho girato Edipo re, ad esempio, ho scelto il Marocco per una serie di ragioni ideologiche, ma anche perché il paesaggio era formato da alcuni colori particolarissimi: il rosa, l'ocre ed un verde speciale in tutte le sfumature. Sempre, in seguito, ho scelto paesaggi con pochi colori dominanti.[26]


In realtà, tutto è arancione e bianco, il verde non è che un velo essiccato, che a toccarlo va in polvere.[27]


Appena fuori da Nevşehir [...] il rosa e un ocra incantato - quello dei veccho otro-un po’ opaco e ottusso, anche - e il giallino prosaico che dà sul marrone, ma insieme il giallo pazzo dello zolfo -  si sono posati su erosioni...[28]


Insomma, quando cominciano le riprese della Medea, Pasolini ha già un’idea molto compatta di che cos'è la Turchia e dei luoghi che gli servono per girare alcune delle scene della tragedia di Euripide. Medea sarà l'eroina di un mondo sottoproletario, arcaico, religioso. Giasone invece sarà l'eroe di un mondo razionale, laico, moderno. E il loro amore rappresenta il conflitto tra questi due mondi:[29] Alle immagini di Corinto realizzate con freddo manierismo si contrappongono quelle proprie del cinema di poesia che illustrano la terra di Medea.[30]


Il 1º giugno del 1969 iniziarono a Uçhisar le riprese del film, un’antica città scavata nella roccia in cui le somiglianze con i sassi di Matera sono molto evidenti. Pasolini affermerà:  Vedere distruggere i vecchi villaggi cavernicoli della Cappadocia e veder distruggere i Sassi di Matera mi dà lo stesso dolore. [31]


Questa è una terra secca e aspra. Ecco perché molti la scelsero come rifugio. Furono i cristiani che fuggivano dalle persecuzioni a costruire qui i loro oratori, eremi e chiese nei luoghi più inaspettati. In realtà, il vento, la pioggia e il tempo hanno scolpito templi, case e palazzi fino a farli sembrare figure spettrali in mezzo alla steppa.[32]


Il giorno dopo si spostarono a Göreme e Çavuşin[33]. Il paessaggio di Göreme è prodotto da millenarie erosioni di acque, le valli dell’altopiano sono disseminate da singoli torrioni rocciosi che i locali chiamano Cammini delle fate. Nel cuore della pietra di queste valli si agitò la fede dei primi cristiani, quando la nuova religione si diffuse in Asia minore, e nella roccia, a partire dei primi secoli dopo Cristo, vennero scavate numerose chiese.  Pasolini scelse per il suo film Meryem Ana, uno di questi monumenti cristiani, una chiesa scolpita, insieme a un piccolo complesso monastico, in un picco emergente che domina la Kılıçlar Vadisi, il cui nome significa Valle delle Spade.


L’ultimo giorno di riprese in Turchia fu il 21, a Uçhisar. Lo stesso giorno, la Callas prende un aereo da Istanbul verso Roma.[34]


Nella sceneggiatura vediamo come i diversi spazi, o vari ambienti, scelti dalla Turchia sevono a Pasolini per creare le Colchide. L’aggettivo lunare[35] appare in molte scene per definire il mondo di Medea, così come leggiamo diversi aggettivi legati alla Preistoria come cavernicola[36] o barbariche:[37]


Nella Colchide lunare - così diversa dalla terra di Giasone[38], che è piatta, malinconica e realistica- tra i folti calanchi, le rupi mostruose, le terrazze labirintiche - dove se qualche orticello arato o coltivato a frutteto c’è, è come un sublime miracolo.[39]


Ecco nella valle, ocra e gialla - piena di punte, mammele, cuspidi, precipizi, terrazze, tra abitazioni cavernicole che si affacciano nel grande vuoto silente - la facciata di un tempio.[40]


Come avevamo appena accennato, il riferimento ai colori è una risorsa narrativa e anche estetica. Nella sceneggiatura vediamo come Pasolini descrive le Colchide come terre dove verdeggia, tra l’ocra e il rosa delle cuspidi rocciose, la campagna[41] anche ora il paesaggio è quello lunare, irto, colorato di giallo violento, rosso e rosa della Colchide.[42]


Da Nevşehir, Pasolini scrive una lettera[43] ai lettori della rubrica Il Caos:


Caro lettore, sono molto lontano dall’Italia (a Nevsheir, una città della Cappadocia, nel centro dell’Anatolia); già da alcuni giorni non vedo un giornale italiano, non so cosa fanno i politici al governo e all’opposizione [...] Se dicessi queste cose a casa mia, mi si accuserebbe di essere una persona «fuori dal mondo» invece sono semplicemente «fuori dall’Italia».[44]


In questo testo, dopo aver stabilito un paragone fra le Nazioni italiana e turca, afferma che i problemi che gli occupano in quel momento sono i problemi del mondo moderno, cioè gli stessi per le due realtà. Questo mondo contemporaneo sta sostituendo il mondo precedente, distruggendolo: Vedere distruggere i vecchi villaggi cavernicoli della Cappadocia e veder distruggere i Sassi di Matera mi dà lo stesso dolore.[45]  A Nevşehir dopo la preistoria vera e propria, si è avuta una seconda preistoria: che fu una secolare attesa, poi, della ragione occidentale. Questo concetto, quello della nuova preistoria o dopostoria, è un concetto  presente nel corpus pasolinano già dal 1964: l'idea di una nuova preistoria. E cioè i miei sottoproletari vivono ancora nell'antica preistoria, nella vera preistoria, mentre il mondo borghese, il mondo della tecnologia, il mondo neocapitalistico va verso una nuova preistoria.[46]


Questo dolore sarà lo stesso che il poeta proverà nello Yemen quando, per cerca si salvare il suo patrimonio architettonico, giri il documentario appello all’UNESCO Le mura di Sana’a (1971):


Lo Yemen, architettonicamente, è il paese più bello del mondo. Sana'a, la capitale, una Venezia selvaggia sulla polvere senza San Marco e senza la Giudecca, una città-forma, la cui bellezza non risiede nei deperibili monumenti, ma nell'incompatibile disegno[...] È uno dei miei sogni, occuparmi di salvare Sana'a e altre città, i loro centri storici: per questo sogno mi batterò, cercherò che intervenga l'Unesco.[47]


Pasolini rivolge il suo sguardo su questo argomento, quello della difesa del patrimonio, proprio durante il suo primo viaggio in Turchia, nel marzo 1969.  Con il titolo “Italia Nostra” non otterrà nulla[48]  denuncia che la cultura è stata cooptata da una piccola élite borghese perciò: Italia Nostra equivale a dire Italia della borghesia.[49] Per trasformare la sua lotta in lotta politica dovrebbe distinguersi dalla borghesia e anche rendere popolare il problema del passato alla classe dominata. La classe operaria non sente in alcun modo il problema della sacralità del passato:


Anche se comunisti, gli operai, hanno, rispetto ai monumenti e al paesaggio, lo stesso atteggiamento di un tecnico neocapitalista, che, operosa formica, si dà da fare, innocente e stupido, a ricostruire daccapo il mondo.[50]


Pasolini continuerà a denunciare la rovina delle forme delle città. Nella stessa lettera, quella scritta dalla Cappadocia, Pasolini fa riferimento alla città di Urgüp, paese in cui si trova il suo albergo.[51] Poi, nel testo Una rivolta uccisa dall’orgoglio nomina altri paesi, come Avcılar e Ortahisar. [52]


Basta che io muova questo affare qui nella macchina da presa, ed ecco che la forma della città, il profilo della città, la massa architettonica della città è incrinata, è rovinata, è deturpata da qualcosa di estraneo [...] E immediatamente attaccate all'acquedotto ci sono altre case moderne, dall'aspetto non dico orribile, ma estremamente mediocre, povero, senza fantasia, senza invenzione [...] Dunque, che cos'è che mi offende in loro? E il fatto che appartengono a un altro mondo, hanno caratteri stilistici completamente diversi da quelli dell'antica città di Orte e la mescolanza delle due cose infastidisce, è un'incrinatura, un turbamento della forma, dello stile.[53]


Il 4 agosto la troupe si trasferì ad Aleppo, in Siria, per girare le sequenze di Creonte e poi, di Giasone, sotto le mura della città. Infine, tra il 6 e il 7 di agosto, vennero realizzate le ultime sequenze nei pressi della cittadella di Aleppo, a Geboul e Harran. Infatti, nella sceneggiatura, vediamo come Corinto viene collegato ad Aleppo: Un colle erboso, rigato geometricamente dai solchi delle piogge, si alza netto contro il cielo: e con altrettanta nettezza, quasi astratta, si alzano sulla sua cima, simmetriche, le mura della città.[54]

 

Silvia Martín Gutiérrez. Pier Paolo Pasolini in Turchia e Siria per le riprese della Medea. Fuori dal mondo, Città Pasolini, 6 marzo 2024.


[1] P.P.Pasolini. Lungo le rive dell’Eufrate, in Id., Tutte le poesie, a cura di W.Siti e S.De Laude, Milano, Mondadori, 2003, p.249.

[2] P.P.Pasolini. Una trasformazione sacrilega, in Tempo n. 12a. XXXI, 22 marzo 1969, in Id., Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W.Siti,  Milano, Mondadori, 2001 p.1195.

[3] A. Ceretto. Maria Callas sul set. Primi passi di Medea. Dopo le prime scene girate in Turchia. Ora la troupe del film di Pasolini è a Roma. Le esperienze della celebre cantante nel mondo del cinema su Il Corriere della Sera, 25 giugno 1969, p.13.

[4] Le sue valigie erano andate perdute in aeroporto e la sua partenza per Göreme subì ritardi Anonimo. Le valigie della Callas sono scomparse, in Milliyet gazetesi, 2 giugno 1969.

[5] Anonimo. Pasolini ha l’ulcera:rinviato il processo. Si doveva discutere in appello l’accusa di oscenità al suo film Teorema, dopo la prima assoluzione su Il Corriere della Sera, martediì-mercoledì 22-23 aprile 1969, p.13.

[6] P.P.Pasolini, Appunti per un Poema sul Terzo mondo, in Id., Per il cinema, a cura di W.Siti e F.Zabagli, Milano, Mondadori, 2001, vol.II, pp. 2677-2686.

[7] G.Vigorelli. Pier Paolo Pasolini inizia il suo incontro settimanale con i lettori di Tempo su Tempo n.32, agosto 1968, pp. 18-19.

[8] P.P.Pasolini. Una trasformazione sacrilega, pp.1194-1197.

[9] È parecchio rilevante il viaggio da lui compiuto in India nel 1961, poi riportato sullo schermo nel film da farsi, Appunti per un film sull’India (1968) P.P.Pasolini. Appunti per un film sull’India, in Id., Per il cinema, a cura di W. Siti e F. Zabagli, Milano, Mondadori, 2001, vol.I, p. 1063.

[10] P.P.Pasolini, L’odore dell’India, Milano, Garzanti, 2009, p.97.

[11] Ivi, p.8.

[12] Ivi, p.84.

[13] P.P.Pasolini. Una trasformazione sacrilega, p.1195.

[14] Bazar, mercato arabo.

[15] Ibidem.

[16] Ibidem.

[17] P.P.Pasolini. Una trasformazione sacrilega, p.1197.

[18] P.P.Pasolini.“Italia Nostra” non otterrà mai nulla, in Tempo n. 12. XXXI, 22 marzo 1969 in Id., Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W.Siti,  Milano, Mondadori, 2001 p.1199.

[19] Ibidem.

[20] P.P.Pasolini. Lungo le rive dell'Eufrate, in Tempo n. 18a. XXXI, 3 maggio 1969, in Id., Il caos, a cura di G.C.Ferretti, Roma, Editori Riuniti, 1975, pp.134-136.

[21] Ivi.p.136.

[22] Ivi. pp.134-136.

[23] Ivi. p.135.

[24] Ivi.p.134.

[25] P.P.Pasolini. Il Cinema di poesia, in Id., Empirismo eretico, Milano, Garzanti, 1972, p.168.

[26] P.P.Pasolini. Incontro con i nostri lettori celebri: Pier Paolo Pasolini, in Progresso fotografico, Anno 77 n.9, settembre 1970, pp.14-16, orA in L'evoluzione della mia poetica fotografica in W.Siti e F.Zabagli, Pasolini. Per il cinema, Milano, Mondadori, vol. II, 2001, pp. 2790-2796.

[27] P.P.Pasolini. Lungo le rive dell'Eufrate, p.135.

[28] P.P.Pasolini. Una rivolta uccisa dall’orgoglio, in Tempo n. 26. XXXI, 28 giungo 1969, in Id., Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W.Siti,  Milano, Mondadori, 2001 p.1225.

[29] P.P.Pasolini. La mia idea de popolo in La Stampa, giovedì 1 novembre 1990, p.15.

[30] G.Simonelli. L’uomo senza volontà. Il tragico nel cinema contemporaneo, in A.Cascetta, Sulle orme dell’antico. La tragedia greca e la scena contemporanea, Milano, Vita e Pensiero, 1991,p.205.

[31] P.P.Pasolini Lettera ai lettori dalla Cappadocia, in Tempo n. 25 a. XXXI, 21 giugno 1969 in Id., Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W.Siti,  Milano, Mondadori, 2001 pp.1219-1221.

[32] P.Pasolini, in Pasolini sconosciuto. Interviste, scritti, testimonianze, a cura di F.Francione, Alessandria: Edizioni Falsopiano, 2013), p. 243.

[33] Il 13 giugno le riprese ritornano a Çavuşin e il 18, a Göreme.

[34] Anonimo. La Callas ritorna dalla Turchia su Il Corriere della Sera, sabato 21 giugno 1969, p.3.

[35] P.P.Pasolini. Scena 38,  Medea, Sceneggiature (e trascrizioni) in Id., Per il cinema, a cura di W. Siti e F. Zabagli, Milano, Mondadori, 2001, vol.I, p. 1223.

[36] P.P.Pasolini. Scena 18,  Medea, Sceneggiature (e trascrizioni), p. 1214.

[37] P.P.Pasolini. Scena 46,  Medea, Sceneggiature (e trascrizioni), p. 1229.

[38] Girato a Grado

[39] P.P.Pasolini. Scena 12, Medea, Sceneggiature (e trascrizioni), p. 1212.

[40] P.P.Pasolini. Scena 39, Medea, Sceneggiature (e trascrizioni), p. 1223.

[41] P.P.Pasolini. Scena 20, Medea, Sceneggiature (e trascrizioni), p. 1215.

[42] P.P.Pasolini. Scena 38, Medea, Sceneggiature (e trascrizioni), p. 1223.

[43] P.P.Pasolini Lettera ai lettori dalla Cappadocia, in Tempo n. 25 a. XXXI, 21 giugno 1969 in Id., Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W.Siti,  Milano, Mondadori, 2001 pp.1219-1224.

[44] P.P.Pasolini Lettera ai lettori dalla Cappadocia, pp.1219-1220.

[45] Ivi.p.1222.

[46] P.P.Pasolini. Un’idea del mondo epico-religiosa, in Bianco e Nero,6, Roma, giugno 1964 ora in Id., Per il cinema, a cura di W. Siti e F. Zabagli, Milano, Mondadori, 2001, vol.II, p.2871.

[47] P.P.Pasolini. L’idea delle Mille e una notte, intervista da G.Massari, Il Mondo, 31 maggio 1973, p.127.

[48] P.P.Pasolini.“Italia Nostra” non otterrà mai nulla, in Tempo n. 12. XXXI, 22 marzo 1969 in Id., Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W.Siti,  Milano, Mondadori, 2001 pp.1197-1199.

[49] Ivi.p.1197.

[50] Ibidem.

[51] P.P.Pasolini Lettera ai lettori dalla Cappadocia, p.1222.

[52] P.P.Pasolini. Una rivolta uccisa dall’orgoglio, p.1229.

[53]P.P.Pasolini. Pasolini e ... la forma della città (1974) © RAI/Tutti i diritti riservati

[54] P.P.Pasolini. Scena 61, Medea, Sceneggiature (e trascrizioni), p.1239.

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