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  • Immagine del redattoreCittà Pasolini

Processo al film di Pier Paolo Pasolini 'La ricotta', Roma marzo 1963

La sera del primo marzo 1963, al cinema Corso di Roma, si sta proiettando il film RoGoPaG, titolo composto dalle iniziali dei cognomi Rossellini, Godard, Pasolini, Gregoretti, cioè i registi che hanno girato ciascuno un episodio. Quello di Pasolini s'intitola La ricotta, dura 35 minuti e racconta di una troupe cinematografica romana che sta girando la scena della crocifissione di Cristo.

Pier Paolo Pasolini esce dal Palazzo di Giustizia di Roma dopo la prima giornata del processo per vilipendio alla religione di stato del suo film La ricotta, marzo 1963 © Fotografo sconosciuto/Fotografia appartenente al Fondo Pasolini della cineteca di Bologna

Tra gli attori - Laura Betti e un folto gruppo di amici di Pasolini - c' è anche Orson Welles nei panni di un tronfio e spocchioso regista, ma il personaggio più importante del film è Stracci, un sottoproletario della periferia che interpreta il buon ladrone. Stracci campa miseramente facendo la comparsa e chissà quanti altri mestieri per mantenere moglie e sette figli. Perennemente affamato, resta vittima di una indigestione per avere mangiato troppa ricotta e muore sulla croce. Già durante le riprese l' episodio della Passione di Cristo era molto chiacchierato.


Orecchie ufficiali si drizzarono, aspettando al varco Pasolini. E infatti quella sera del primo marzo, interrompendone la proiezione, arriva al cinema Corso un ufficiale dei carabinieri con un decreto di sequestro di RoGoPaG firmato da Di Gennaro perché La ricotta vilipende la religione di Stato.


Al processo, che inizia il 5 marzo, il pubblico ministero è Giuseppe Di Gennaro. Appassionato di cinema, autore di sceneggiature e di documentari televisivi, ottiene di portare in tribunale una moviola che lui stesso manovra per illustrare ai giudici le sue tesi, inquadratura per inquadratura. Una foto dell' epoca lo mostra intento a questa operazione, lo sguardo fisso sul piccolo schermo, la mano sinistra sui pulsanti dell' avanti e indietro, mentre alla sua destra, in un gruppo di persone, uno spaesato Pasolini sembra annullarsi dietro gli abituali occhiali scuri dinanzi a quel magistrato che lo sfida sul suo stesso terreno, che ambisce a mostrare quanto lui stesso sappia di cinema, quasi fosse un professionista. Nella requisitoria Di Gennaro non si risparmia incursioni sul campo dell'estetica. Al di là del diritto, vuol dimostrare la sua competenza in fatto di cinema e nel giudizio dell' opera d' arte.

Ecco il suo linguaggio per definire La ricotta: troppa densità di concetti, troppo uso di simboli, troppe valutazioni e giudizi perché ne risultasse una opera d' arte e non una verbosa e magniloquente pellicola; criptocomunicazioni, comunicazione esoterica ed essoterica"; "film plurilinguistico e criptolinguistico, e via di seguito.


Alcuni momenti del dibattito in aula rasentano la comicità, auspice involontario il pubblico ministero che azzarda un risentito scambio di battute con l' imputato a proposito dell' "uomo medio" a cui si riferisce Orson Welles nel film. Dopo aver condannato il super uomo dai gusti e sentimenti eccentrici, Di Gennaro s' inalbera: Io vorrei chiedere a Pasolini se ha veramente tutte le carte in regola per atteggiarsi a paladino di un sottoproletariato che la nostra società sta cancellando. Quanto al merito dell' accusa, il vilipendio della religione, a nulla servono i consensi dei sacerdoti che insegnano alla Pontificia Università Gregoriana, la benevolenza della censura vaticana che non ha "escluso per tutti" La ricotta, le recensioni favorevoli pubblicate da giornali cattolici e democristiani: il Savonarola della Procura, incatenato a una serie di palesi fraintendimenti di certe scene e di certi dialoghi, incapace di guardare alla morale del film nella sua globalità, afferma che "il fine reale perseguito dall' imputato è proprio quello di dileggiare la figura più alta della religione cattolica, l' uomo-Dio che congiunge il vecchio e il nuovo Testamento, nel momento misterioso e ineffabile della sua passione e della sua morte".


Non pago di atteggiarsi a vendicatore della religione offesa, Di Gennaro si immagina "opinion leader", condottiero di masse. E ai giudici della corte lancia un messaggio inequivocabile: il vero è che molti, la stragrande maggioranza degli italiani, sono con me, ma non hanno trovato voce per esprimere le loro idee. Voi vi domanderete come mai la stessa stampa cattolica non ha reagito all' insulto di costui. E ne avete ben donde: i cattolici avrebbero dovuto prendere posizione... sono sicuro che la vostra sentenza sveglierà i morti, richiamerà a vita e a dignità quei cattolici da sacrestia che hanno abdicato alla loro cultura per tema d' essere tacciati di conformismo". Parte ancora una stoccata contro il "tracotante profanatore" il cui fine "criminoso" è "di prendersi beffa e lazzo della religione".


E con un avvertimento dai toni apocalittici, il futuro, benemerito nemico dei "narcos" nella lotta alla droga intima: "stiano attenti i cattolici a non portare nella città di Dio il cavallo di Troia di Pasolini!". L' ultima mossa è un ricatto spettacolare: Se voi condannerete Pasolini approverete me, ma se voi lo assolverete allora, ineluttabilmente, condannerete il mio operato".


Per un reato di opinione così grave, quale quello commesso da Pasolini, il dottor Di Gennaro ritiene troppo esigua la pena prevista dal codice Rocco, cioè un anno di reclusione, perché allora, nel 1930, il legislatore non poteva prevedere che il vilipendio della religione sarebbe avvenuto così sfacciatamente a mezzo di uno dei più efficaci e potenti mezzi di comunicazione.


Il pubblico ministero chiede la condanna di Pasolini Pier Paolo a un anno di reclusione senza il beneficio della condizionale. Il 7 marzo 1963 il tribunale accontenta il pubblico ministero perché riconosce Pasolini colpevole del delitto ascrittogli ma lo condanna a quattro mesi. Con la motivazione che il fatto non costituisce reato, il 6 maggio 1964 la Corte d' Appello di Roma assolve l' autore di La ricotta, verdetto annullato dalla Cassazione il 24 febbraio 1967 perché il reato è estinto per amnistia. I


Il taglio di qualche scena e il cambio di alcune espressioni operati su La ricotta consentirono a RoGoPaG di uscire sugli schermi, alla fine del 1963, con il titolo Laviamoci il cervello. Il 4 luglio 1964, a Saint Vincent, Pasolini veniva premiato con la seguente motivazione:


La giuria, considerato che sotto la parvenza del grottesco il regista ha saputo rendere sullo schermo con forza poetica il significato umano del messaggio evangelico, ha deciso a maggioranza di conferire la Grolla d' oro per la regia all' autore dell' episodio La ricotta dal film RoGoPaG (Laviamoci il cervello) Pier Paolo Pasolini".


Enzo Golino. Di Gennaro contro Pasolini, La Repubblica, 13 agosto 1992.
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