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Immagine del redattoreCittà Pasolini

I poeti, i grandi poeti sono di tutti. Enzo Siciliano su Pasolini


Pier Paolo Pasolini a casa sua, via Eufrate nº9, Roma (1971) © Sandro Becchetti/ Riproduzione riservata

Venerdì scorso, a Roma, nella sede missina di via H.Larenzia, Pino Rauti, Teodoro Buontempo, segretario provinciale del Msi, e Ludovico Pace, responsabile culturale della federazione romana, hanno introdotto un dibattito in cui la figura di Pier Paolo Pasolini è stata accreditata come quella di un intellettuale «in viaggio verso la destra», simile a Prezzolini, a Papini, allo stesso Mussolini. Il Msi rivendica così la possibilità di potersi appropriare le polemiche corsare pasoliniane contro Il sessantotto, l’omologazione culturale e la televisione.

La sfrontatezza o la povertà culturale di certi politici non ha confine. La civiltà del cosiddetto villaggio globale, d'altronde, consente ogni avventura: è proprio dei nostri anni sostenere che tutto è pari a tutto, che Pasolini si possa usare come Evola, o che nazificazione di Nietzsche sia faccenda tuttora valida a scorno di ogni filologia. I missini nostrani dicono oggi: «Pasolini la pensava como noi. Parlava dei sottoproletari: anche noi lo facciamo». Che pasticcio.

I poeti, i grandi poeti sono di tutti. Ma, a una lettura politica, il Pasolini corsaro e luterano non può, proprio non può diventare proprietà fascista pure limitata. Può esserlo a una condizione, a una condizione paradossale, che i missini di casa nostra studino alla moviola un film come Salò e facciano abiura, abiura pubblica e manifesta, da tutto ciò che sono, ammettendo che Salò ha fatto loro capire in quali storture e in quali abissi sia stata trattenuta fino ad allora la loro mente. Se ci dicono soltanto che le «battaglie» di Pasolini erano le stesse loro, sanno di mentire: una menzogna profonda, interessata, che si aggancia a quella liberazione da ogni ideologia che va tanto di moda e nella quale ogni valore e memoria storica risultano azzerati.

Pasolini era uno scrittore anti borghese non al modo di un decadente, anche se cento possono essere i connotati decadenti individuabili in lui . Alla spossatezza esistenziale che la cultura decadente esprime, egli opponeva la vitalità del mondo contadino per significare che la storia deve partorire il nuovo solo in base a quel che essa già contiene.

Quanto salvava Pasolini da ogni catastrofismo metodico, quello che serra i ranghi della cultura di destra, era appunto la sua sensibilità alla storia.

Enzo Siciliano. Quei confusi neofascisti in cerca di un poeta. Il Corriere della Sera, 5 dicembre 1988, p.1
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