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Immagine del redattoreCittà Pasolini

L'antifascismo come genere di consumo. Pasolini intervistato da Massimo Fini per L'Europeo, 1974.

Aggiornamento: 8 lug


Pier Paolo Pasolini alla Torre di Chia, Viterbo, 1974 © Gideon Bachmann / Cinemazero / Tutti i diritti riservati

Mai come in questi anni in Italia si è sentita risuonare la parola «antifascista», insieme ai suoi due corollari «laico» e «democratico». Non c’è persona oggi in Italia (a parte i fascisti dichiarati) che non si proclami tutta insieme «laica, democratica e antifascista». Eppure mai come in questi anni la Repubblica è stata, al di là di certe apparenze permissive, percorsa da sindromi di intolleranza, di corporativismo, di antidemocrazia: di fascismo, infine, se fascismo significa anche la prepotenza del potere…


Il fatto è che essere genericamente antifascista oggi in Italia non costa nulla, anzi spesso e volentieri paga. Ecco perché il termine è diventato ambiguo, si è consumato al punto da non voler dire quasi più nulla. Del resto è già abbastanza straordinario che a trent’anni dalla Resistenza e dalla caduta del regime si ragioni ancora in termini di fascismo e antifascismo. Questo vuol dire solo due cose: o che siamo rimasti perfettamente immobili e che trent’anni sono passati invano, o che dietro un certo antifascismo di maniera (che nulla ha a che vedere con l’antifascismo reale pagato di persona) si nascondono sotto mentite spoglie i vizi di ieri, le intolleranze, il conformismo, il servilismo di fronte al potere. Un «antifascismo» oltretutto pericoloso perché rischia con il suo conformismo e la sua intolleranza di fare dei fascisti reali dei martiri ingiustificati, e rischia di fare apparire quasi dalla parte della ragione chi ha indiscutibilmente torto.


Da questi dubbi nasce la nostra inchiesta. Un’inchiesta, come si vede, delicata (l’accusa che ci verrà immediatamente rivolta, lo sappiamo, è di “fare il gioco delle destre”). Per questo abbiamo chiamato a rispondere a questi dubbi e a queste domande uomini della cui reale, antica e provata fede antifascista non è lecito dubitare.


Pasolini: «Esiste oggi una forma di antifascismo archeologico che è poi un buon pretesto per procurarsi una patente di antifascismo reale. Si tratta di un antifascismo facile che ha per oggetto ed obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e che non esisterà più. Partiamo dal recente film di Naldini: Fascista. Ebbene questo film, che si è posto il problema del rapporto fra un capo e la folla, ha dimostrato che sia quel capo Mussolini, che quella folla, sono due personaggi assolutamente archeologici. Un capo come quello oggi è assolutamente inconcepibile non solo per le nullità e per l'irrazionalità di quello che dice, ma anche perché non troverebbe assolutamente spazio e credibilità nel mondo moderno. Basterebbe la televisione per vanificarlo, per distruggerlo politicamente. Le tecniche di quel capo andavano bene su di un palco, in un comizio, di fronte alle folle "oceaniche", non funzionerebbero assolutamente su uno schermo.


Questa non è semplicemente costatazione epidermica, puramente tecnica, è il simbolo di un cambiamento totale del modo di essere, di comunicare fra di noi. E così la folla, quella folla "oceanica". Basta un attimo posare gli occhi su quei visi per vedere che quella folla lì non c'è più, che sono dei morti che sono sepolti, che sono i nostri avi. Basta questo per capire che quel fascismo non si ripeterà mai più. Ecco perché buona parte dell'antifascismo di oggi, o almeno di quello che viene chiamato antifascismo, o è ingenuo o stupido o è pretestuoso e in malafede: perché dà battaglia o finge di dar battaglia ad un fenomeno morto e sepolto, archeologico appunto, che non può fare più paura a nessuno. E', insomma, un antifascismo di tutto comodo e di tutto riposo.


Io credo, lo credo profondamente, che il vero fascismo sia quello che i sociologhi hanno troppo bonariamente chiamato la "società dei consumi". Una definizione che sembra innocua, puramente indicativa. E invece no. Se uno osserva bene la realtà, e soprattutto se uno sa leggere intorno negli oggetti, nel paesaggio, nell'urbanistica e, soprattutto, negli uomini, vede che i risultati di questa spensierata società dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un vero e proprio fascismo. Nel film di Naldini noi abbiamo visto i giovani inquadrati, in divisa... Con una differenza, però. Allora i giovani nel momento stesso in cui si toglievano la divisa e riprendevano la strada verso i loro paesi e i loro campi, ritornavano gli italiani di cento, di cinquant'anni addietro, come prima del fascismo.


Il fascismo, in realtà, li aveva resi dei pagliacci, dei servi, e forse in parte anche convinti, ma non li aveva toccati sul serio. Nel fondo dell'anima, nel loro modo di essere. Questo nuovo fascismo, questa società dei consumi, invece, ha profondamente trasformato i giovani, li ha toccati nell'intimo, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di pensare, di vivere, altri modelli culturali. Non si tratta più, come all'epoca mussoliniana, di un'irregolamentazione superficiale, scenografica, ma di una irregolamentazione reale che ha rubato e cambiato loro l'anima. Il che significa, in definitiva, che questa "civiltà dei consumi" è una civiltà dittatoriale. Insomma, se la parola fascismo significa la prepotenza del potere, la "società dei consumi" ha bene realizzato il fascismo.


Un ruolo marginale. Per questo ho detto che ridurre l'antifascismo ad un lotta contro quella gente significa fare della mistificazione. Per me la questione è molto più complessa, ma anche molto chiara, il vero fascismo, l'ho detto e lo ripeto è quello della società dei consumi e i democristiani si sono trovati ad essere, anche senza rendersene conto, i reali ed autentici fascisti di oggi. In questo ambito i fascisti "ufficiali" non sono altro che il proseguimento del fascismo archeologico: e in quanto tali non sono da prendere in considerazione. In questo senso Almirante, per quanto abbia tentato di aggiornarsi, per me è altrettanto ridicolo che Mussolini. Piuttosto, un pericolo più reale viene oggi dai giovani fascisti, dalla frangia neonazista del fascismo che adesso conta su poche migliaia di fanatici ma che domani potrebbe diventare un esercito.


Secondo me l'Italia vive qualcosa di analogo a quanto accade in Germania agli albori del nazismo. Anche in Italia attualmente si assiste a quei fenomeni di omologazione e di abbandono degli antichi valori contadini, tradizionali, particolaristici, regionali, che fu l'humus su cui crebbe la Germania nazista. C'è un enorme massa di gente che si è trovata ad essere fluttuante, in uno stato di imponderabilità di valori, ma che non ha ancora acquistato quelli nuovi nati dall'industrializzazione. E' il popolo che sta diventando piccola borghesia ma che non è ancora né l'uno e non è più l'altro. Secondo me il nucleo dell'esercito nazista fu costituito proprio da questa ibrida massa, questo fu il materiale umano da cui vennero fuori, in Germania, i nazisti. E l'Italia sta correndo proprio questo pericolo.


Quanto alla caduta del fascismo, innanzitutto c'è un fatto contingente, psicologico. La vittoria, l'entusiasmo della vittoria, le speranza rinate, il senso della ritrovata libertà e di tutto il modo di essere nuovo, avevano reso gli uomini, dopo la liberazione, più buoni. Sì "più buoni", puramente e semplicemente.


Ma poi c'è l'altro fatto più reale: il fascismo che avevano sperimentato gli uomini di allora, quelli che erano stati antifascisti ed avevano attraversato le esperienze del ventennio, della guerra, della Resistenza, era un fascismo tutto sommato migliore di quello di oggi. Vent'anni di fascismo credo non abbiano mai fatto le vittime che ha fatto il fascismo di questi ultimi anni. Cose orribili come le stragi di Milano, di Brescia di Bologna, non erano mai avvenute in vent'anni. C'è stato il delitto Matteotti, certo, ci sono state altre vittime da tutte due le parti, ma la prepotenza, la violenza, la cattiveria, la disumanità, la glaciale freddezza dei delitti compiuti dal 12 dicembre del 1969 in poi non s'era mai vista in Italia. Ecco perché c'è in giro maggior odio, un maggior scandalo, una minore capacità di perdonare... Soltanto che questo odio si dirige, in certi casi in buonafede e in altri in perfetta malafede, sul bersaglio sbagliato, sui fascisti archeologici invece che sul potere reale.


Prendiamo le piste nere. Io ho un'idea, magari un po' romanzesca ma che credo giusta, della cosa. Il romanzo è questo. Gli uomini di potere, e potrei forse fare addirittura dei nomi senza paura di sbagliarmi di tanto - comunque alcuni degli uomini che ci governano da trent'anni - hanno prima gestito la strategie della tensione a carattere anticomunista, poi, passata la preoccupazione dell'eversione del '68 e del pericolo comunista immediato, le stesse, identiche persone hanno gestito la strategia della tensione antifascista. Le stragi quindi sono state compiute sempre dalle stesse persone. Prima hanno fatto la strage di piazza Fontana accusando gli estremisti di sinistra, poi hanno fatto le stragi di Brescia e di Bologna accusando i fascisti e cercando di rifarsi in fretta e furia quella verginità antifascista di cui avevano bisogno, dopo la campagna del referendum e dopo il referendum, per continuare a gestire il potere come se nulla fosse accaduto.


In quanto agli episodi di intolleranza che lei ha richiamato, io non li definirei propriamente intolleranza. O almeno non si tratta dell'intolleranza tipica della società dei consumi. Si tratta in realtà di casi di terrorismo ideologico. Purtroppo le sinistre vivono, attualmente, in uno stato di terrorismo, che è nato nel '68 e che continua ancora oggi. Non direi che un professore che, ricattato da un certo gauchismo, non dà la laurea ad un giovane di destra, sia un'intollerante. Dico che è un terrorizzato. O un terrorista. Però questo tipo di terrorismo ideologico ha una parentela solo formale col fascismo. Terrorista è l'uno, terrorista è l'altro, è vero. Ma sotto gli schemi di queste due forme a volte identiche, bisogna riconoscere realtà profondamente diverse. Altrimenti si va a parare inevitabilmente nella teoria degli "opposti estremismi", oppure nello "stalinismo uguale fascismo".


Ma ho chiamato questi episodi di terrorismo e non di intolleranza perché secondo me, la vera intolleranza è quella della società dei consumi, della permissività concessa dall'altro, voluta dall'alto, che è la vera, la peggiore, la più subdola, la più fredda e spietata forma di intolleranza. Perché è intolleranza mascherata di tolleranza. Perché non è vera. Perché è revocabile ogni qualvolta il potere ne senta il bisogno. Perché è il vero fascismo da cui viene poi l'antifascismo di maniera: inutile, ipocrita, sostanzialmente gradito al regime».


Pier Paolo Pasolini



Questa inchiesta comprendeva anche un colloquio con Franco Fortini. Nell’intervista a Pasolini ho tolto le mie domande per rendere più sciolto il suo discorso piuttosto complesso.


Massimo Fini


Pier Paolo Pasolini. L'antifascismo come genere di consumo, intervista da Massimo Fini, L'Europeo, 26 dicembre 1974, n.52, pp.44-46, ora in Scritti corsari, con il titolo Fascista, p.233.

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