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  • Immagine del redattoreCittà Pasolini

La mia provocatoria indipendenza. Pier Paolo Pasolini su Tempo, 1969.


Pier Paolo Pasolini a casa sua, Roma (1969) © Archivio Luce Cinecittà/DR - BM Lyon/Tutti i diritti riservati

Quando queste pagine usciranno, cioè nella prima settimana del 1969, forse io avrò cambiato umore, e la stessa situazione mi si presenterà sotto un diverso segno. Si tratta della mia situazione, e il segno sotto cui ora mi si presenta è quello del terrore. Scrivo queste righe in uno di quei momenti in cui forse sarebbe necessario tacere. Anche perché un artigiano sa bene che il suo oggetto non può essere costruito con le mani tremanti. Infatti, mi tremano le mani. Non c'è nessuna ragione precisa che giustifichi questo mio tremare, questo mio sentirmi come una bestia braccata, che ha perso ogni dignità, e si irrigidisce nello scrivere un pezzo settimanalmente obbligatorio per un giornale. Ci sono delle ragioni impalpabili, e in fondo quotidiane. Tuttavia, c'è in esse un sapore, che io ben conosco ... Le elenco:


1) la questura non ha dato ancora il permesso di ritirare le copie sequestrate di «Teorema». Il mio produttore, Franco Rossellini, è disperato. Ciò è per lui di un danno incalcolabile. Il lettore non è tenuto a saperlo, e può pensare: «Son cose che succedono ai produttori, che del resto se le meritano...». Fatto sta che le vendite all'estero e le conseguenti uscite son tutte bloccate; e che quindi la situazione economica è disastrosa per un giovane produttore che non ha altre carte da giocare. Perché non viene dato il permesso di dissequestrare il film e rimetterlo in circolazione? Non è stato assolto? Non abbiamo fatto salti di gioia quando abbiamo saputo la sentenza del tribunale di Venezia? Sono quattro mesi che il film è in quarantena; un'intera stagione. Nel frattempo un altro film è stato denunciato, sequestrato, giudicato, assolto, dissequestrato e rimesso in circolazione; in una quindicina di giorni. «Teorema» è ancora allo stesso punto. Il confronto rende chiaro che si tratta, nei miei confronti, di una precisa volontà di persecuzione (ecco fatta la terribile parola): e se questa volontà c'è, che cosa mi aspetta ancora? E se c'è, dov'è? In quale settore del Potere? Chi io offendo particolarmente e con chi mi misuro? (Come il lettore vede, si tratta di una situazione che, se appena un po' metaforizzata, diviene quella tipica dei personaggi di Kafka). Sono qui, come un verme schiacciato, che mi dibatto, e non so chi mi ha schiacciato, e chi vuole schiacciarmi ancora. Ora, questo discorso non lo farei, se io appartenessi a una regolare «opposizione», appartenessi alle file dei «nemici del potere »: invece, anche lì, sono un irregolare. Anche nel « potere contrario al potere», ci sono dei settori (altrettanto oscuri e imprecisabili) che cercano volontariamente di colpirmi, di eliminarmi... (continua la terminologia delle sindromi persecutorie: da cui, però, io non sono oggettivamente affetto). Infatti:


2) ho saputo dal mio stesso produttore che un amico autorevole, una specie di mago, gli ha detto: « Ma sì, ma sì, è inutile aiutare Pasolini, tanto prima o poi lo metteranno in prigione. Lui non li sa fare i film, che faccia lo scrittore ». È una boutade ma terrorizzante, per chi si ricorda che quella stessa persona, potente e magica, una decina di anni fa gli aveva detto: « Stai attento, sei pedinato, vogliono farti del male », e sono seguiti poi tutti i processi atroci, che mi hanno torturato fino a due o tre anni fa.


3) Io volevo fare a tutti i costi un film sulla vita di San Paolo, da anni. La sceneggiatura era già pronta. La fantasia già in moto, disperatamente. Ora non posso più farlo. Non dico come e perché.





4) Ho saputo per caso stamattina, da una persona che mi dà sempre brutte notizie, che un regista (appartenente all'intelligenza dell'opposizione) mi ha violentemente attaccato. Non è che un ennesimo attacco: ma c'è sempre l'attacco che va al di là della sopportazione, proprio per un puro e semplice fatto numerico. Una certa quantità di dispiacere può essere sopportata: oltre un certo limite non può più essere sopportata. Ora, all'inizio di un nuovo anno (il caso vuole che questo esame della mia situazione coincida con l'inizio di un nuovo anno) che cosa devo propormi di fare? Io sono completamente solo. E, per di più nelle mani del primo che voglia colpirmi. Sono vulnerabile. Sono ricattabile. Forse, è vero, ho anche qualche solidarietà: ma essa è puramente ideale. Non può essermi di nessun aiuto pratico. È chiaro che, nella lotta contro il potere, bisogna opporre una certa forma di potere: se non altro come prestigio. In questo momento, grazie a Dio, mi aiuta, in tal senso, miserando, il successo delle mie opere all'estero: «Edipo Re» in Francia, «Teorema» in Germania, «Una vita violenta» e così «Teorema» libro in Inghilterra, ecc. È tremendo dire, pubblicamente, queste cose: ma si tratta di fare calcoli meschini, per vedere come preventivare una certa sicurezza contro meschine ma atroci« persecuzioni ». Fatti questi calcoli, se tornano, potrò conservare la mia indipendenza: la mia provocatoria indipendenza.


È questa infatti (molto più che l'invidia, per non so che miei eccessivi successi, per non so che mia capacità di lavoro - come mi dicono gli amici - ma io non so immaginare l'invidia come qualcosa di reale, qualcosa da prendere in considerazione) che fa nascere contro di me tante ostilità. La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza. Odio - come ho tante volte detto - l'indipendenza politica. La mia è quindi una indipendenza, diciamo, umana. Un vizio. Non potrei farne a meno. Ne sono schiavo. Non potrei nemmeno gloriarmene, farmene un piccolo vanto. amo invece la solitudine. Ma essa è pericolosa. di essa potrei fare gli elogi, e cullarmi nella gioia che mi proviene nel farne indefinitamente gli elogi. Forse è una nostalgia della perfetta solitudine goduta nel ventre materno. Anzi, sono quasi certo che è questo. Ma ditemi voi, come può, un feto, vivere tra gli adulti? Avrei potuto, agli inizi di un anno, disegnarmi un programma di lotta ideologica, oggettivamente coraggiosa (come del resto, più o meno, oggettivamente, sarà). Ma in cosa consiste il coraggio di una lotta ideologica, poi? Rinunciare a qualche guadagno? Dover pagare gli avvocati? Rischiare qualche mese di prigione? Qualche accusa infamante? Qualche persecuzione ricattatoria e razzistica? Sì, è tutto qui. ripeto, non c'è poi molto da gloriarsi. Sono semplicemente i diritti di un'esistenza che vanno a farsi benedire. Ma in cose come queste consistono poi le vere tragedie. 


Scusami, paziente lettore, per questi stupidi lamenti.


Pier Paolo Pasolini «Tempo», n. 2, a. XXXI, 11 gennaio 1969, p.10.
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