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Immagine del redattoreCittà Pasolini

Pasolini sepolto nella terra di Casarsa, torna al paese. 6 novembre 1975


I funerali di Pasolini a Casarsa nelle fotografie di Claudio Ernè © Centro Studi Pasolini di Casarsa della Delizia

Pasolini è tornato per sempre nella sua terra friulana tra quella gente che aveva amato e difeso, cantato e ricordato sempre, anche quando era diventato un personaggio famoso e discusso. Per molti, qui a Casarsa, era rimasto i1 giovane comunista che negli anni '40, aveva levato la sua voce in difesa degli oppressi, dei contadini e del braccianti, i1 segretario di sezione che affiggeva sul muri della loggia trecentesca del paese manifesti che smascheravano — spesso rifacendosi alle parabole evangeliche — l'ipocrisia dei potenti.


Qui Pasolini, venuto in tempo di guerra nel paese della madre, Susanna Colussi, aveva scritto le sue prime poesie in friulano, dato vita all'«Academiuta », insegnato nella scuola media della vicina Valvasone. Nel '49 era stato delegato al primo convegno della pace a Parigi.


Le sue spoglie, composte sin dalle prime ore del mattino nella chiesetta di San Rocco (cui egli aveva dedicato una delle sue poesie in dialetto), sono state per tutto i1 giorno meta di un omaggio incessante da parte di popolani, lavoratori, giovani, esponenti politici e culturali. Molti militari provenienti dalle vicine caserme. All'ingresso sono state raccolte firme in calce ad una petizione che sollecita approfondite indagini sul delitto.


Oggi anche Casarsa è cambiata e, a stento, Pasolini vi ritroverebbe quel connotati di antica civiltà contadina che tanto amava Da queste parti gli insediamenti industriali (slamo nella provincia della «Zanussi») a l'abbandono delle campagne hanno provocato squilibri e contraddizioni nuove, senza peraltro cancellare le vecchie ingiustizie.


Attorno alle spoglie del poeta stamane c'erano tutti' i vecchi compagni, gli studenti, la gente semplice che lo aveva conosciuto, forse anche i denigratori di un tempo, che avevano ribattuto alle sue accuse sferzanti con i1 linciaggio morale. Ormai, anche per loro. Pasolini è un conterraneo illustre. Dopo una breve funzione religiosa (padre Turoldo ha letto un brano del vangelo secondo Matteo) si è formato un corteo di almeno 15.000 persone preceduto da decine di corone e dal gonfalone del Comune. Dietro il feretro, la madre, seguiva su un'auto in compagnia di parenti. Tra la folla esponenti della cultura (Zigaina, Sgorlon, Maniacco) e della politica. Erano tanti 1 comunisti presenti. Abbiamo notato l'on, Mario Lizzerò, il vice segretario regionale Baracetti, i dirigenti delle Federazioni di Pordenone e Udine, i1 compagno Vianello, sovrintendente del teatro «La Penice».


Il corteo ha attraversato il paese, tra due ali di folla. Sul muri spiccavano numerosi manifesti a lutto, con commosse espressioni di commiato. C'è l'epigrafe dei comunisti di Casarsa, con 1 versi di «Tornant al pais» (Tornando al paese). Nel piccolo cimitero, mentre la folla premeva da ogni parte, si è svolta la semplice tumulazione accanto al resti del padre e del fratello Guido Alberto, morto partigiano. Dopo brevi indirizzi di saluto di un insegnante della zona e del sindaco («sei tornato al paese... ti custodiremo») ha parlato a nome del comunisti friulani, Mario Lizzerò, il comandante Andrea. Egli ha ricordato l'appassionata opera di denuncia, l'aspra battaglia condotta dallo scomparso per una cultura ed una civiltà nuove.


Infine, padre Turoldo si è rivolto alla madre:


“Cercherò di dire quello che posso e meglio che posso. Sono un sacerdote e sono venuto come sacerdote ad accompagnare all’ultima dimora l’amico e fratello Pier Paolo. Vi leggerò i pensieri che ho avuto subito dopo aver avuto notizia della sua morte. È alla mamma che mi rivolgevo e che mi rivolgo. È un documento che non ho potuto pubblicare, perciò ve lo leggo qui, nel posto, forse più adatto.


Mamma, è a te che scrivo con tono sommesso e senza rancore. Potrei lasciare libero sfogo all’odio e alla maledizione, ma a che serve? Oggi non serve neppure lo sdegno e il furore. C’è troppa violenza su Roma. Non c’è un fiore più che sbocci in questa periferia romana, e non un alito di vento che ne spanda il profumo; non un fanciullo con la faccia pura; non un prete che preghi… E le messe in piazza S. Pietro servono a poco, né convincono molti a credere che sia questo davvero un anno santo, e che Roma è la città di Dio, secondo la parola del cardinale… C’è solo gente ingrumata e torva, gente che urla dalle baracche; oppure gioventù che pensa a strappare e a uccidere, caricando la ragazza morta nel bagagliaio, e l’altra viva appena, per poter raccontare come “finalmente ce l’hanno fatta” ad ammazzare.


Mamma, ti parlo per lui, che ora ha la bocca piena di sabbia e polvere, e non ti può chiamare: ma ha tanto bisogno di te, mamma; come l’ha sempre avuto lungo tutta la sua martoriata vita: una vita di povero friulano, solo, senza patria e senza pace.


Eri tu la vera sua patria, il luogo della sua pace, il solo asilo sicuro. Lui così timido, fino al punto di aver paura di ogni cosa, per cui era diventato tanto spavaldo. Tu che riassestavi per lui e per noi tutta quella nostra terra, e la gente umile di cui si sentiva amico e fratello, e il suo paese è la nostra storia di popolo “passato attraverso la lunga tribolazione“. Tu, che eri per lui la sua vera chiesa, il segno di una fede magari bestemmiata ma mai tradita nel profondo della sua passione. Tu, che sei stata la sua madre addolorata sotto la croce, immagine di una umanità che ancora, dalle nostre parti e nei paesi più poveri del mondo, continua a piangere su qualche figlio ucciso, su qualche innocente crocifisso.


Mamma, vorrei dirti ora di tornare a casa, di lasciare questa maledetta capitale; di fuggirtene anche a piedi, vestita a nero come sei arrivata, col fazzoletto nero annodato al collo e che ti scende dietro sulle spalle; con la lunga sottana nera, come tutte le donne antiche del nostro Friuli antico, simili appunto a Madonne sul Calvario. Torna come una pellegrina a ritroso, verso paesi certo più miti e più cristiani. Ritorna, riaccompagnandolo in quella terra che non ha mai potuto dimenticare. Per quello era cosi gentile, appunto perché umile come umile è il suo Friuli. E tutti lo devono dire che era così buono, fino al tormento, fino a distruggersi con le sue mani. Ed era così bisognoso di amicizia, come appunto è il mio Friuli, così solo. E gridava ai quattro venti le sue contraddizioni e i suoi peccati, come un russo che ha bisogno di martoriarsi: noi abbiamo anche questi sconfinamenti nella nostra natura. E poi chiediamo scusa di esistere… Era come il minatore in esilio, il carpentiere e il manovale, insonne e ramingo. E tu ora immagina che sia successo appena una disgrazia sul lavoro, quasi fosse caduto da una impalcatura; e tu come madre di un emigrante, ora lo riaccompagni al piccolo cimitero del paese. Così avendo finito il tuo compito di angelo protettore di un figlio tanto fortunato e sfortunato insieme; un figlio divorato dalla stessa vita che tu gli hai dato: una vita rovinata dalla troppa umanità. Là c’è suo padre, ora in pace nella morte, e c’è l’altro figlio ucciso pure lui per la nostra liberazione, e ci sono gli altri morti; e ci sono gli amici ancora vivi, tutta una gente di cui ti puoi fidare; una gente che non viene a disturbarti, ma che ti è vicina; che patisce con te in silenzio, senza darti nemmeno l’aria di patire. Perché, anzi, ti canterà le villotte della gioia, quella che Pier Paolo aveva cantato e composto, giovanissimo, come sua prima e più viva poesia.


Perché noi siamo un popolo che canta, anche quando ha da piangere. È questa la nostra natura migliore, come era quella di tuo figlio, vero grande poeta del popolo, voce dei poveri! Perché, per noi, tutto il resto è “segnato”, è il destino. Noi crediamo veramente nel destino! I verbi dei nostri canti sono: “Squegni“, “mi toce“, “è dovere”. Mamma, ricordi? Così ripeteremo la preghiera che un giorno, nel “Stroligut 2 di Cjasarsa” fin dal 1944, proprio questo tuo figlio, così maledetto e così buono, aveva scritto per noi, presi dentro la furia della guerra e della morte:


“Crist, pietàt dal nustri paìs. No par fani pi siors di che ch’i sin. No par mandàni ploja. No par mandàni soreli. Patì cialt e freit e dutis li’ tempiestis dal seil, al è il nustri distìn…”.


Cristo, pietà per il nostro paese. Non per farci più ricchi di quel che siamo. Non per mandarci la pioggia. Non per mandarci il sole. Patire il caldo e il freddo e tutte le tempeste del cielo, è il nostro destino.


Lo sappiamo! Quante volte in questa nostra piccola chiesa di Santa Croce, noi ti abbiamo cantato le litanie, perché tu avessi pietà della nostra terra! Ma ora ci accorgiamo di averti pregato per nulla; ora ci accorgiamo che tu sei troppo più in alto e della nostra pioggia e del nostro sole e delle nostre brine. Oggi è la morte che ci gira intorno! Ma da dove viene questa morte? Da dove… ?. In fondo il tuo Pier Paolo, mamma, ha sempre vissuto con la morte dentro, se l’è portata in giro per il mondo lui stesso come suo fardello di emigrante, come suo carico fatale. Ed ora che l’ha raggiunta, è bene che ritorni anche lui a casa. Meglio che il silenzio scenda su quella notte. Quella tua morte del due novembre, Pier Paolo: pareva di sentire i morti un’altra volta, i miei morti morti ancora, tuo fratello ucciso ancora; pareva di masticare cenere di morti e .fango tra i denti; pareva che la morte spuntasse ad ogni angolo: Roma era tutta sporca… E tu che portavi sull’intero tuo corpo i segni di un orrendo e assurdo “ecce homo” contrapposto a Cristo… tu finito nella gehenna come il più repellente rifiuto della santa capitale. Ma tu non avevi colpa, tu gridavi la colpa nel tuo corpo di linciato, come figlio della stessa colpa; tu, prima, incarnazione impazzita della grandezza e miseria e ora simbolo della morte ormai dissacrata per sempre. Papa Giovanni e tu, ecco i due estremi di morire… Da ricordare l’orgia di inchiostri di tutti i colori in quei giorni; e il livore e la bava della gente “più pura”. No, meglio non dire più nulla. Dato che non siamo più capaci di un minimo gesto di pietà. E questo mi fa veramente paura: di quanto sia capace di odio e di furore distruttivo (di furor mortis) un uomo di religione; di quanto sadismo egli sia fonte come nessun altro. Ma forse la ragione è proprio questa: che è un uomo di religione, non un uomo di fede, non uomo di vangelo. Come la mettiamo in questo caso? Perché pare che la moltitudine dei “praticanti” sia scatenata.”


Un telegramma di cordoglio per la morte di Pier Paolo Pasolini è stato inviato a nome della giunta e dell'assemblea dal presidente della Provincia La Morgla alla madre del regista. «Partecipe del suo infinito dolore — è detto nel telegramma — anche a nome giunta et consiglio provinciale mi associo all'unanime compianto per la tragica scomparsa del suo adorato Aglio, ricordandone le doti di Intelletto che lo hanno portato ad essere una delle espressioni più vivaci e significative della cultura contemporanea »


Il poeta sepolto nella terra del suo primo impegno civile. Commossa cerimonia nel cimitero di Casarsa del Friuli. Un corteo di 15 mila persone presenti al mesto rito, gente semplice, rappresentanti della cultura e della politica - Le parole del sindaco e di padre Turoldo. L'Unità, 7 novembre 1975, p.5.

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seba.comis
seba.comis
2022년 10월 26일

Pasolini è morto in un incidente come tanti capitati ad altri omosessuali più o meno illustri - da Winkelmann a Mosconi - dediti a incontri mercenari. Senza fare altri paragoni più o meno scontati, quella di Pasolini è stata come la morte per overdose, o per una droga mal tagliata, di un tossico. Se fosse vissuto ancora qualche anno sarebbe probabilmente morto di AIDS. Ma Pasolini in vita, e specie negli ultimi anni, si era costruito una immagine di uomo contro, di profeta disarmato, quando in realtà esprimeva solo una disperata nostalgia per l'eden agroculturale della Casarsa dei sui vent'anni. Di qui, da questa falsa immagine, l'ipotesi del delitto politico compiuto naturalmente da fascisti innominati, come prudentemente anonimi e…


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