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Immagine del redattoreCittà Pasolini

Pier Paolo Pasolini e il cinema di Roberto Rossellini (1969). Intervista con Jon Halliday.


Pier Paolo Pasolini con Alfredo Bini e Roberto Rossellini sul set di Mamma Roma. Roma (1962) © Reporters Associati/Riproduzione riservata

- Jon Halliday: Vorrei tornare su quanto mi ha detto prima a proposito del neorealismo. I problemi sono due. Uno riguarda Rossellini: i film che fece sotto il fascismo stilisticamente parlando sono uguali a quelli che fece durante il cosiddetto periodo neorealista, e uguali ad alcuni dei suoi film posteriori, fino a La presa del potere di Luigi XIV, che è neorealista nello stesso senso in cui lo è Francesco giullare di Dio. Per me Rossellini è un grande regista, e coerente, omogeneo. L'altro problema è quello della catalogazione di un intero periodo come «neorealista» mettendo insieme due persone come Fellini e Rossellini che non mi sento in grado, semplicemente, di porre sullo stesso piano, e questo varrebbe anche per quasi tutti i cinefili che conosco in Inghilterra. Capisco che Uccellacci e uccellini tratta certi aspetti del cinema italiano, ma vorrei conoscere con maggior precisione la sua posizione nei confronti di Rossellini e del neorealismo.


- Pier Paolo Pasolini: La storia stilistica di Rossellini è la storia stilistica di Rossellini, e come ho già detto esiste una certa fatalità nello stile di una persona. Rossellini ha una storia stilistica coerente, ma non coincidente con quella del neorealismo: solo in parte la prima coincide con la seconda. La parte del Rossellini coincidente col neorealismo ha alcuni caratteri in comune con Fellini: un certo modo di vedere le cose e la gente. il tipo di ripresa e il montaggio sono differenti dal sistema classico che precedette sia Fellini sia Rossellini. Quel pezzo di Uccellacci e uccellini che lei ha appena accennato e che evoca il neorealismo richiama qualcosa di tipico in entrambi, qualcosa in parte di Rossellini e in parte di Fellini; i saltimbanchi, il tipo di donna: tutto questo è molto felliniano, ma è anche rosselliniano.


Inoltre, i due condividono quello che io chiamo realismo creaturale, un aspetto del neorealsimo tipico di un film come Francesco giullare di Dio: la persona umile vista in maniera abbastanza comica, pietà mista e ironia. Credo che entrambi presentino questo carattere. Nella sostanza concordo con lei; sono due registi che non hanno nulla a che fare l'uno con l'altro, ma entrambi appartengono in parte a uno stesso periodo culturale che coincide con il neorealismo.


- JH: Perciò quando il corvo dice: «L'epoca di Brecht e di Rossellini è finita» non vuole dire che è finito Rossellini, ma soltanto il neorealismo.


- PPP: Sì, Rossellini è stato il maestro del neorealismo, e il neorealismo è morto. Voglio dire che l'epoca della denuncia sociale e del gran dramma ideologico di tipo brechtiano da una parte, e quella della denuncia della vita quotidiana del genere neorelistico, sono entrambe finite.


- JH: Un critico italiano ha definito il suo Uccellacci e uccellini il primo film realista fatto nel vostro Paese. Io credo che sia un film realista, ma in modo assai simile a come si più chiamare realista, diciamo, un Franscesco giullare di Dio: in verità, tutta la parte di Uccellacci con i frati attinge a piene mani al film di Rossellini.


- PPP: Amo Rossellini, e lo amo soprattutto per Francesco, che è il suo film migliore. La parola «realismo» è così ambigua che è difficile mettersi d'accordo sul suo significato. Io considero i miei film realisti, a paragone dei film neorealisti. In questi la realtà d'ogni giorno è vista in senso crepuscolare, intimistico, ingenuo e soprattutto naturalistico. Non naturalistico in senso classico, crudele, violento o poetico come in Verga, o totale come in Zola; nel neorealismo le cose sono viste con un certo distacco, con un calore umano che va a braccetto con l'ironia: caratteri che non mi appartengono. A confronto col neorealismo io credo di aver introdotto un certo realismo, ma sarebbe piuttosto difficile definirlo con precisione.


Pasolini su Pasolini. Conversazioni con Jon Halliday. Parma, Guanda (1969), pp.99-101.
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