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  • Immagine del redattoreCittà Pasolini

Enrique Irazoqui intervistato al Lido di Venezia durante la premier del Vangelo pasoliniano


Enrique Irazoqui durante la 25. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, (1964) © Bernardi-ASAC Biennale/Riproduzione riservata

Venezia 4 settembre 1964

Enrique Irazoqui, il Cristo del Vangelo secondo Matteo di Pasolini è di Barcellona.


Al Festival è arrivato con il papà e la mamma che è italiana (è nata a Salò e conserva tutta la cadenza locale). Lui ha vent’anni (non ancora compiuti, precisa la mamma), ha capelli neri e lisci, la fronte è come una gronda sugli occhi infossati e foschi. Studia economia e commercio all’università di Barcellona, ma non sa quando potrà laurearsi perché per il film ha perso quattro mesi di lezioni.


Quello dell’attore è un mestiere che non gli piace, farlo una volta gli è bastato, anche se ha guadagnato mica male, cinque milioni al netto delle tasse. È stato scoperto per un caso. Era a Firenze, un amico lo ha portato a Roma, gli ha fatto conoscere Pier Paolo (lui Pasolini lo chiama così). Gli hanno fatto un provino. C’era il dubbio se dovesse interpretare il personaggio di Gesù oppure quello di San Giovanni Battista. Con la sua faccia troppo giovane forse non poteva degnamente impersonare Gesù negli ultimi anni della sua vita terrena. Il provino, invece, fu assolutamente positivo e Pasolini scelse lui come protagonista del film. Per quattro mesi la troupe ha girato nell’Italia del Sud, da Crotone a Matera. E a Matera è stata ambientata la scena della crocifissione. Enrique Irazoqui ricorda di essere rimasto più o meno letteralmente appeso a un chiodo per ore e ore.


Adesso è al Lido e, anche se il festival è austero, si sente a disagio. Non è mondano, preferisce ascoltare la musica (soprattutto di MOZART). Nona aveva uno smoking, non ne ha mai posseduto uno, e gliel’hanno dovuto fare in un paio di giorni. Enrique Irazoqui, per sua confessione, è ateo.


Il Gesù di Barcellona. L'incredibile storia di Enrique Irazoqui protagonista del film di Pasolini. Il Corriere della Sera, 4 settembre 1964
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