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  • Immagine del redattoreCittà Pasolini

Franco Citti racconta Pasolini durante la "Settimana culturale" a Ibiza nel 1978

Aggiornamento: 30 mag 2023


Franco Citti e Pier Paolo Pasolini durante le riprese del film Accattone (1961) © Angelo Pennoni / Reporters Associati srl

- Come conoscesti Pasolini?


- Fu trent'anni fa, momento in cui in Italia c'era molta miseria; mio fratello Sergio ed io facevamo il bagno nel fiume. Pasolini veniva spesso in bicicletta. Lui era sempre a scrivere, in mezzo un mucchio di documenti sottobraccio. Lui era un appassionato della vita sottoproletaria romana, e del nostro modo di parlare il dialetto romanesco, si divertiva parecchio. "Sono uno scrittore" ci disse, "voi potresti aiutarmi". Così iniziammo a frequentarci molto spesso, e contrariamente di quanto si pensi, eravamo noi a offrire il pranzo; Pasolini non aveva un lira. Gli facemmo conoscere gli ambienti più arretrati, quelli che gli stavano a cuore. Diventammo inseparabili per anni, collaborando nelle cose che lui scriveva; io partecipava nei dialoghi in dialetto. Aiutammo Pasolini a scrivere alcuni romanzi, "Ragazzi di vita" e "Una vita violenta" (di quest'ultimo si fece il film che io stesso recitai insieme a Serena Vergano, con la quale ho vissuto quattro anni).


- Ha creato in te, Pasolini, una passione per il cinema?


- No, non ci andavamo mai. Sono passati alcuni anni fino a quando Pier Paolo si è interessato per il cinema. È grazie alla sua amicizia con Mauro Bolognini, a cui frequentava per imparare la tecnica. Più avanti fece lo stesso con Fellini, con il quale collaborammo per "La dolce vita".


- Com'è iniziata la sua carriera di attore'


- Un giorno Pasolini, senza darmi opzioni, mi disse: "Devi fare Accattone", il mio film più importante e con il quale vinsi alcuni premi. Ma vorrei chiarire che io non sono un attore. Io sono un personaggio. Il mondo del cinema non mi interessa affatto, e sin dall'inizio l'ho rifiutato; lo conosco molto bene e posso affermare che è la cosa più falsa che ci sia. A me solo interessano i personaggi, e per tutto il tempo mi sono rifiutato di avere un rapporto con gli altri attori. Il mio unico amico, dentro del cinema, è Mastroianni.


- Credi nelle scuole di drammaturgia?


- Io, la metà della mia vita sono stato un morto di fame, più drammatico di quello non c'è niente, perciò non ho bisogno di scuole. Attore si nasce, non lo si diventa.


- Sei stato influenzato su questo aspetto da Pasolini?


- Sì. In alcune riprese, agli inizi, io facevo un grande sforzo per migliorare la recitazione, e lui, infuriato, mi diceva: "Perché ti metti a fare il Gassman? Fai il Citti e basta così!". Dunque, nei cinquanta film che ho fatto, i registi sempre mi hanno lasciato libero.


- Come definisci l'attore?


- Un attore, per me, è quello che dopo recitare si mette la cravatta ed esce in strada diventando la star per farsi vedere e per farsi ammirare dalla gente, essendo costretto a fare mondanità oppure a drogarsi. Io non mi vergogno di continuare a vivere in una baracca e di andare a pesca, perché la gente mi conosce lo stesso e lavoro ugualmente. L'unica cosa che è cambiata, dal fatto di esser conosciuto internazionalmente, è che ho una macchina.


- In due dei film di Pasolini compaiono sia il paesaggio in cui lui trovò la morte e anche modi di morire simili al suo. È stata una sorta di premonizione?


- Sì, lui sapeva benissimo che morirebbe così, nonostante lui dicesse sempre che noi eravamo eterni. Nel finale del film "Ostia" io uccido mio fratello a bastonate nello stesso posto in cui si trovò Pier Paolo bastonato a morte, quattro anni dopo; e anche in "Accattone", c'è una scena in cui ci sono alcuni cadaveri coperti di sabbia, che ricordano anche la carneficina da lui subita. Due o tre volte avevano cercato di ucciderlo a Roma.


- Perché volevano ucciderlo?


- Per motivi politici, ovvio. Italia è piena di ragazzi delinquenti, e oggi giorno a qualsiasi furfante o drogato viene pagato ed è disposto a uccidere chiunque. Questo metodo è stato impiegato da alcun partito. Io affermo che la morte di Pier Paolo fu politica; certo, è molto più comodo dire che, essendo frocio è stato ammazzato da un magnaccia, perché per la gente, di tutto ciò che Pasolini ha rappresentato, l'unica cosa importante è il fatto di essere stato un frocio. E trattandosi di un intellettuale di sinistra, e ancora più facile insistere su questo argomento. Ma, perché non scrivono che oltre Pasolini ci sono stati altri omosessuali? Perché lui ha fatto incazzare molti col suo cinema, e per questo l'hanno fatto fuori.


Adesso stanno minacciando Liliana Cavani, che, avendo paura, si è trasferita negli Stati Uniti.


- La morte di Pasolini ti ha danneggiato?


- Per motivi di lavoro, per niente. Un giorno lui mi disse: "Se io morissi, faresti anche della TV". Sai che la TV italiana odiava Pasolini, ciononostante ho finito per fare un film per loro, con Ninetto Davoli, altro della squadra pasoliniana.


A me manca Pasolini come un padre, persino intellettualmente; adesso non saprei neanche comprare un libro. Senza di lui, mi manca una continuità culturale, io avrei seguito Pasolini per sempre.


- Vi frequentavate spesso?


- Sì, ogni giorno. Di solito mangiavamo insieme e giocavamo a pallone. Aveva in mente di portare al cinema la sua versione della vita di cristo, dopo aver rifiutati una importante proposta della casa di produzione americana San Paolo Films per girare "La vita di Cristo", ma con la sceneggiatura imposta da loro, visto che avevano paura dello scandalo suscitato da un testo pasoliniano.


Io non credo che Pasolini sia morto, mi sembra che stesse facendo uno scherzo di cattivo gusto. Mi fratello Sergio e io siamo andati a vedere la sua tomba e quando ci siamo arrivati, ci è venuta una crisi isterica, come se tutto fosse uno scherzo di umorismo macabro.


- Puoi darci alcuna informazione sulle riprese del film di Bertolucci "La luna"?


- È un film nella linea di "Ultimo tango". Io reincarno Pasolini. Bertolucci, che aveva collaborato con Pier Paolo, gli dedica il primo omaggio cinematografico; inoltre in una delle scene compare nella TV la notizia dell'assassinio di Pasolini.


Bernardo mi disse che soltanto io potrei farlo. La stampa non conosce realmente chi è Pasolini, e con questo momento, che Bertolucci gli dedica in "La luna", si potrà approfondire nel personaggio Pasolini. È la prima volta che gli si dedica qualcosa nel cinema, anche se nel mondo culturale si gli sta prestando molta attenzione; per esempio, in Ibiza, l'ultima "Semana cultural", in Italia, la mostra dei suoi dipinti, perché era, inoltre, un bravo pittore. E anche nel Congo, Biafra, e nei paesi più remoti, stanno onorando la sua memoria.


- Hai lavorato in Spagna?


- Sì, ho fatto "Yerma" di García Lorca e "Fortunata y Jacinta", e anche un western in Almeria. Vado molto d'accordo con gli spagnoli, mi sembra di essere a casa; invece odio la razza francese, e tedesca e nordica, sono degli alieni per me. Gli unici popoli perfetti sono l'italiano e lo spagnolo. La razza ideale che Hitler voleva in Germania, i nostri paesi ce l'hanno senza necessità di un Führer.


- Cosa ne pensi del cinema spagnolo?


- Posso affermare che il film migliore che io abbia mai visto sia "Viridiana" di Buñuel, che come regista è il principale, e mi piacerebbe molto lavorare con lui.


- Un'attrice del cinema di Pasolini?


- Silvana Mangano. Quando girammo "Edipo re" c'erano scene erotiche tra di noi. Io, da un lato, la rispettavo moltissimo, lei era una donna bellissima ed elegantissima, era la signora, de Laurentiis. Ma dall'altro ricordavo le sue cosce in "Riso amaro", i primi nel cinema italiano, il che mi sconcertava. Pasolini mi disse: "Vai da lei, spiegale, è una donna normale e corrente". Andai nel suo camerino e le raccontai ciò che mi succedeva, le i mi chiamava Edipino, mi disse: "Perde il rispetto per me, pensa che io sia tua mamma o la tua fidanzata, abbracciami tranquillamente, ma, perché sei così timido?".


Io, che avevo bevuto un po' troppo, le risposi: "Signora de Laurentiis, lei l'unica donna per chi, da ragazzo, mi sono masturbato. Sono andato due volte al giorno a vedere "Rido amaro" e a masturbarmi nel cinema". Mi ripose che era il miglior complimento che le avevano mai fatto.


- Durante le riprese di "I racconti di Canterbury" sei finito in galera, perché?


- Di solito, io cucinavo per Pasolini; all'improvviso ci accorgemmo che non avevamo l'aceto. Ninetto Davoli e io, che non sapevamo una parola d'inglese, imparammo a dire aceto e uscimmo a comprarlo. Quando arrivammo al supermercato avevamo dimenticato la parola. Come nei paesini italiani, l'aceto si usava per rianimare gli svenuti, Ninetto pensò che era una buona idea fingere uno svenimento e io facevo capire gli altri, mettendo l'aceto sotto il suo naso, che così si rianimava. Davanti alla totale incomprensione, facemmo l'atto cinque volte; il cerchio degli inglesi sbalorditi davanti a noi cresceva finché arrivarono i poliziotti e ci portarono in galera. Dormimmo lì finché non capirono chi eravamo.


- Esiste un testamento di Pasolini?


- Non c'è un testamento. Inoltre lui non aveva nulla. Un appartamento in un quartiere corrente e una casa in campagna. Pasolini non era ricco, tutto sarà per la madre, e i diritti d'autore per sua nipote Graziella. Rispetto al suo cinema, mio fratello Sergio, e io collaborando con le sceneggiature possiamo continuare la sua strada; è possibile che Sergio porti allo schermo "La vita di Cristo". Io girerò un film intitolato "A vostro buon cuore", sarà il mio primo film come regista.


Passeranno molti anni perché la gente possa capire il cinema di Pasolini. i suoi film sono difficili da comprendere, non è un cinema facile come, ad esempio, Charlot, molto divertente, fantastico, e che faceva ridere tutti con i gag in scena. Il cinema di Pasolini è più simbolico, più poetico, più umano. Anche se per lui il cinema era ormai finito, e aveva in mente il progetto di scrivere un romanzo in cui aveva impiegato dieci anni di lavoro.


- Una domanda-riassunto. Mi dica, in poche parole, cosa è stato Pasolini per lei...


- Che cosa è stato Pasolini per Franco Citti? Un figlio da na' mignotta che mi faceva lavorare venticinque ore al giorno hahahaha.





Franco Citti intervistato da Carlos Martorell. Franco Citti. El cocinero de Pasolini, in Fotogramas Año XXXII- Nº 1571 (1978)
Traduzione: Silvia Martín Gutiérrez- Curatrice Città Pasolini
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