Pasolini nella sua casa romana, 1960 © Archivio Palmas/Riproduzione riservata
Tra gli autori recentemente assurti alle mete maggiori di successo e critica, il nome di Pasolini è certamente un di quelli più discussi. Di lui si può affermare che, piaccia o non piaccia la sua produzione letteraria, successo e critica vanno di pari passo, rappresentando la viva discussione delle sue opere nei più disparati ambienti, una garanzia certa di personale originalità. non è tuttavia nostro compito tratteggiare qui la dimensione artistica dello scrittore Pasolini e siamo certi che ai nostri lettori assai più interesserà conoscere quel poco del suo pensiero e della sua esistenza che abbiamo avuto la fortuna, nel rapido incontro con lui, di ascoltare e conoscere.
Pier Paolo Pasolini non è stato contagiato da alcuna forma di snobismo e rimane legato all'ambiente crudo e realistico nel quale si muovono e vivono i suoi personaggi.
Ci sentimmo, nell'iniziare la breve conversazione con lui, subito liberati da quel senso di emozione che incute l'anticamere degli uomini già assurti agli onori delle cronache. Il nostro incontro fu quindi improntato allo stile di una semplice ed amichevole conversazione, della quale riportiamo qui alcuni passi, certi da far cosa gradita ai nostri lettori.
− Professore, lei ha cominciato subito a scrivere per l’editore Garzanti o esistono altri suoi scritti a cura di altri editori?
− Sì, esistono, pubblicate da Sansone, le Poesie Friulane, uscite in edizioncine fuori commercio; a cura di Guanda è stato poi pubblicato anche un volume di critica.
− Da giovane si è dedicato di più alla poesia? Quali sono stati nei primi anni i suoi autori preferiti?
− Mi sono dedicato molto alla poesia, da giovane. La prima che scrissi fu all’età di sette anni e mezzo. Da ragazzo, parlo di autori extrascolastici, ho letto Carducci, un po’ meno Pascoli. A quindici anni Shakespeare e Dostoevskij.
− Non rammenta nessun particolare spiacevole, in gioventù, relativo alla sua attività di scrittore?
− Mi lasci un po’ ricordare … Sui diciassette anni, una poesia rifiutata dal giornale del Guf di Bologna perché considerata troppo personalistica.
− E uno piacevole?
− La cartolina del critico Franco Contini: «Il suo libro mi è piaciuto tanto. Lo recensirò». Si tratta delle poesie in friulano pubblicate a venti anni.
Abbiamo atteso che terminasse di dare un’occhiata al numero di marzo del nostro periodico, poi abbiamo continuato.
− È un po’ lunga questa intervista. Ci scuserà. Indubbiamente le piacerà la musica classica. Quale autore predilige? E che pensa degli indiavolati ritmi moderni?
− Fra tutti, Bach, per il suo estremo rigore mentale, per la sua mancanza di facilità. Niente da ridire sulla musica moderna. Ai cantanti italiani però preferisco quelli americani. Gli italiani mi sembrano dei dilettanti. E poiché volevamo entrare in un argomento molto delicato, siamo andati per le lunghe. Quindi abbiamo cominciato a parlare di Una vita violenta.
− Le è costato quattro anni di lavoro. A differenza della Sagan che sforna due libri l’anno …
− Affronta problemi difficili …
− Un semianalfabeta – abbiamo incalzato – in un paio d’ore legge la Sagan. A nostro modesto parere non esistono personaggi che s’impongono, né problemi, né originalità di trama in questi romanzi.
Ma con un sorrisetto diplomatico, Pasolini è passato ad altro argomento. E noi non abbiamo insistito.
− Leggemmo sul «Reporter» la polemica con Marotta. Riuscire a fare una bella fusione tra dialetto e lingua è senz’altro molto difficile. Potrebbe dirci, per favore, quali motivi l’hanno spinta a scrivere così?
− Sono motivi troppo lunghi per riassumerli in una risposta… Ho usato il dialetto soltanto nei due romanzi. Ho l’ambizione di scrivere romanzi veramente oggettivi, non soltanto nella sostanza ma anche nella superficie; voglio cioè raggiungere un’oggettività integrale e non posso prescindere dal fatto che nell’ambiente nel quale creo i miei personaggi si usa esprimersi in dialetto. Quando abbiamo parlato di una recensione apparsa sul «Quotidiano», di Una vita violenta, nella quale si diceva: «Lessi dieci anni fa una bellissima poesia di Pasolini… Cosa può ora in un fervido ingegno un’anima malata!», Pasolini ci ha spiegato che il recensore si riferiva alle prime poesie, a quelle decadentistiche e misticheggianti. Le altre del secondo periodo (Le ceneri di Gramsci, La meglio gioventù) erano già di un’anima malata. Diciamolo tra noi, cari lettori: quel critico ha fatto meticolosamente il suo dovere di recensore.
− Ha qualche altro lavoro in preparazione?
− Sto scrivendo delle poesie che raccoglierò in due volumi. Sto mettendo a posto un libro di saggi. È in preparazione un nuovo lavoro, La mortaccia, che descrive la discesa di una prostituta all’inferno secondo la falsariga dell’Inferno Dantesco. I personaggi che vi si trovano sono contemporanei.
− Quando avremo il piacere di leggerlo?
− Fra due o tre anni.
Qui non possiamo che esprimere i nostri auguri più fervidi: è chiaro il perché Pasolini prediliga Bach.
− Per concludere, la nostra Rivista nega che esista un problema dei giovani. Esistono i teddy-boys? E se esistono, quali pensa ne siano le cause?
− I teddy-boys esistono nelle città che somigliano alle metropoli americane: Milano, Torino, Bologna, e sono frutto della scontentezza ideologica; in questa nazione dominata dal capitalismo. Da Roma in giù, nelle zone agricole sono pochissimi e per questi ultimi la causa è da attribuirsi alla disoccupazione e alla mancanza di scuole.
- Certo, in Italia c'è ancora una buona percentuale di uomini che sono costretti a mendicare il lavoro alle grandi ditte come gli schiavi al tempo dei faraoni. Questo è un segno di inciviltà. Il lavoro è la massima dignità umana che però non tutti riescono a perseguire nel nostro paese.
Ci intrattenemmo ancora a lungo con Pier Paolo Pasolini, in una conversazione veramente interessante che ci diede modo di conoscere meglio e più da vicino l'animo sensibile di un artista che ha conquistato l'attenzione e le simpatie di un foltissimo pubblico e particolarmente quelle della nuova generazione.
Aldo Onorati "Intervista a Pier Paolo Pasolini", "Virgola", luglio 1960 in "La voce e la memoria. Interviste a personaggi del Novecento", Edilet (2015)
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