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  • Immagine del redattoreCittà Pasolini

L'idea delle Mille e una notte. Intervista di Giulia Massari a Pier Paolo Pasolini, 1973.



Pasolini durante le riprese del film Il fiore delle Mille e una notte, a Isfahan, Iran, 1974 © Roberto Villa/Cineteca di Bologna/Tutti i diritti riservati

Trentacinque persone, macchine, i mille oggetti che servono a una troupe cinematografica, i costumi che Danilo Donati ha disegnato per le Mille e una notte, e cioè lunghi e larghi vestiti, larghe e lunghe sciarpe che poi saranno integrati con antiche vesti prestate dal museo di Sana'a e con qualche povero straccio ottenuto nei villaggi più sperduti, vincendo la grandissima diffidenza, come si trattasse di strapparsi un pezzo di carne, di uomini e donne arabi nemmeno attratti da un po' di denaro, i bagagli di ognuna di quelle trentacinque persone, vestite dapprincipio in maniera occidentale, poi sempre più semplificando, fino a un paio di calzoni con una camiciola, tutt'al più un cappelluccio di paglia per ripararsi dal sole: per due mesi e mezzo, su e giù per la rossa montagna eritrea, attraverso lo Yemen del Nord e lo Yemen del Sud, miseria e meraviglie architettoniche, infine la Persia, Esfahan e la sua periferia come Milano, con la tabe del turismo.


Con tutti i mezzi, aereo, jeep, cammello, cavallo. Presso Massaua, la troupe di Pier Paolo Pasolini ha fatto otto chilometri a piedi, in salita, col caldo, per raggiungere un villaggetto su una collina. Lungo la strada, alcuni sono svenuti per la fatica, altri ce l'hanno fatta ad arrivare fin lassù dove si doveva girare una certa scena, ma quando si è trattato di mettersi al lavoro erano stremati, proprio non riuscivano. È morta la piccola scimmia di pelo nero, venuta con la troupe dall'Italia, e non se n'è trovata un'altra a sostituirla, qualcuno s'è ammalato più definitivamente, il nervosismo serpeggiava come una insidiosa malattia, litigi scoppiavano senza motivo, o per motivi da nulla, soprattutto quando le trentacinque persone sono arrivate nello Yemen, dove gli arabi si affollavano attorno, estranei, o nemici che temevano di essere derubati del sacro bene dell'immagine...


Bello vuol dire buffo


C'era la polizia sempre attorno, a difenderli, però i silenti arabi arrivavano, giovani e vecchi, armati di fucili antiquati e di quei loro lunghi coltelli ricurvi, le jambie, e guardavano, temibili, timorosi. Scoppiavano incidenti: perché era parso che uno straniero strofinasse una foglia di qat, la droga, su una pelle di pecora, perché un tale ancora non aveva dimenticato che il suo bambino di tre anni era stato fotografato mentre giocava con un cane, bestia immonda che forse non si uccide per non toccarla, o perché era stato ripreso un paesaggio con una vecchia autoblindo sgangherata, e dunque si aveva l‟intenzione di rivelare all‟occidente i segreti degli armamenti... A Sana'a, nello Yemen del Nord, afa e quasi 2500 metri di altezza, per lunghe ore file e file di arabi, una volta, non hanno fatto altro che cantare una nenia ossessiva, irritante. Erano bambini, ma anche giovani, anche anziani. Non guardavano, solo cantavano, e il canto saliva pochissimo, gonfio di oscura minaccia. Erano i "canti della pioggia", perché la pioggia infine venisse. Ma questi canti dicevano: Andate, andate via da Sana'a, siete voi, siete voi che non fate venire la pioggia...


Ma ora le Mille e una notte di Pier Paolo Pasolini, gran parte delle Mille e una notte, è girato. [...] C'erano voluti tre sopralluoghi, prima, per trovare i posti e la gente. Pasolini di solito i sopralluoghi li fa da solo; questa volta, li hanno fatti in gruppo, e c'era in questo gruppo anche Umberto Angelucci, un giovanotto romano che dopo essere stato l'aiuto di Mauro Bolognini è diventato, fin dai tempi del Decameron, l'ottimo aiuto regista dello scrittore. Questo Angelucci dice che Pasolini è meticoloso, precisissimo, un grande lavoratore che arriva alle otto meno un quarto se ha deciso di cominciare a lavorare alle otto (mentre Bolognini arriva all'una e mezzo se ha stabilito l'una); e che è molto umano con i suoi collaboratori, anche se non è cordiale; e che ha delle improvvise folgorazioni dinanzi a un paesaggio, a uno sguardo che balena, a un riso che si cela o si palesa, a una espressione che lo intriga. Angelucci dice che Pasolini ha una idea della bellezza del tutto personale, spirituale, anche qui completamente diversa da quella di Bolognini, il cui ideale è riconoscibilmente settecentesco. Questa maniera di concepire la bellezza, qualche volta può non essere subito afferrata. "Una volta, continuava a dire che un bambinetto di quattro anni era bello, bellissimo, e noi dicevamo bruttino. Poi chiarì cosa volesse dire: buffo. Buffo, per lui, è anche bello".


Per salvare Sana'a


Durante quei sopralluoghi, quando aveva quelle tali folgorazioni, Pasolini si fermava, segnava i posti, se possibile i nomi e gli indirizzi delle persone che lo avevano colpito. Se non riusciva ad averli, questi indirizzi, sembrava offeso, addolorato, come chi vede malcompreso un gesto di affetto. E tornando, si tormentava di non ritrovare quei volti. La ragazza di Ferrara che lavora nel film, Barbara Grandi, Pasolini l'ha vista un attimo, tre anni fa, in un aeroporto. Erano due anni che il regista pensava a realizzare un film dalle Mille e una notte.


Ho cominciato a pensarci mentre giravo un episodio del Decameron – ricorda – Ero nello Yemen, e mi è venuta l'idea delle Mille e una notte. Un'idea del tutto astratta. Perché in tutto lo Yemen non c'è una palma, ma si sente una fantasticità più profonda, che viene da quella sua mirabile architettura tutta in verticale, di case alte e povere, l'una a fianco dell'altra nelle anguste stradine. Lo Yemen è il paese più bello del mondo. Sana'a, la capitale, è una Venezia selvaggia sulla polvere, senza San Marco e senza la Giudecca: una città-forma, una città la cui bellezza non risiede nei deperibili monumenti, ma nell'incomparabile disegno. Una delle poche città-forma, che un urbanista dovrebbe conservare intatta nell'esterno, rifacendone solo gli interni. È uno dei miei sogni, occuparmi di salvare Sana'a e altre città, i loro centri storici: per questo sogno mi batterò, cercherò che intervenga l'Unesco.


Il regista è tornato da pochissimo, e riparte fra breve. È abbronzato, per niente affaticato, con una specie di leggera eccitazione addosso. Sembra persino, lui così avaro di parola, aver piacere di parlare, e infatti parla, con quella sua voce molto gentile e molto lieve, la voce di un antico ragazzo che ancora si diverte a inventare e raccontare le storie. L'ho visto a teatro, e pareva oppresso. Lui detesta il teatro, dice che gli rammenta l'angoscia che ti prende da bambino quando frughi per terra, sotto i tavoli, sotto i letti, quando insomma stai a livello animale, non umano, e all'improvviso senti la polvere che ti sale al naso, alla fronte, agli occhi... e tanto più, quest'angoscia, ti prende col teatro di adesso, dove sembra si debba sempre strisciare per terra, rotolarsi, annusare cose che stanno in basso...


L'ho visto nella sua casa all'Eur, molto semplice e molto civile, senza nessuna indulgenza per i gusti alla moda, la casa di un serio professionista, dove care donne gli si affaccendano affettuosamente attorno, ma senza disturbarlo, e lì pareva felice.


Mi stabilirò da quelle parti, da qualche parte, forse in Persia – dice. In Persia, sai che qualcuno mi riconosceva? Un soldato, raso, coi baffini, che aveva visto in un festival i miei film, mi si è avvicinato tutto timido. Devo stabilirmi altrove. Non sopporto più Roma, le case brutte, la gente brutta, le automobili, il traffico". Quelli della troupe raccontano infatti che girando nello Yemen o in Persia ogni tanto Pasolini si fermava e diceva che quella casa, quel posto, lo voleva comprare per stabilirsi lì. C'era persino un luogo, nello Yemen, che ormai tutti della troupe chiamavano "l'albergo Pasolini". (Ma lo ha comprato? Rispondono: comprerà. Quando Pasolini dice una cosa, in genere si è portati a crederlo; non si pensa a un passeggero capriccio; le sue parole hanno accento di verità).


Le Mille e una notte – dice Pasolini – non è nella mia tradizione infantile. Ho certo letto, a suo tempo, quello che si leggeva da ragazzi, Aladino e la lanterna magica [...]. Per vent'anni, poi, non ho più pensato alle mille e una notte. C'erano altre letture, altri interessi. Da giovane la filologia, Leopardi, i simbolisti; e soprattutto, come capita ai giovani, la tendenza a una visione apocalittica. Poi ho cambiato carattere, ho aggiunto nuovi elementi alla mia psicologia. Il merito è stato soprattutto di Elsa Morante. Lei mi ha insegnato ad amare la leggerezza, per esempio la leggerezza mortuaria di Mozart. Ho imparato ad amare Mozart, e lo amo nonostante non sia nelle mie corde... perché questo male profondo che si espia in leggerezza, che vince il dolore con la leggerezza, sarà forse più santo della santità canonica, ma io sono per quest'ultima... Poi, dopo Elsa Morante, Ninetto, Ninetto Davoli, che è la gioia, l'allegria, un balletto vivente....


Chiuderà un ciclo


Mentre giravo il Decameron, di nuovo, c'è stato un cambiamento nella mia vita; è il terzo periodo; leggerezza, ancora, ma d'un altro tipo, quasi naturale. Il diventare vecchio dà la leggerezza del futuro, perché questo si è accorciato, pesa di meno... Ho cominciato dunque, dopo lo Yemen, a leggere le Mille e una notte, e l'ho letto tutto, coscienziosamente. La proliferazione di racconti uno dentro l'altro, la capacità di affabulazione all'infinito, il raccontare per il raccontare fermandosi ogni volta su un dettaglio inaspettato, il parossismo dell'amore per il raccontare, mi hanno avvinto più di qualsiasi cosa... e l'assenza di una fine... Anche nella mia narrativa questo c'è un poco, Ragazzi di vita, per esempio, è un romanzo aperto... E c'è in Menzogna e sortilegio della Morante, c'è nel mio Gadda, questa gran matrice che sforna narratività. La materia delle Mille e una notte ho cercato poi di circoscrivere in tre blocchi, quello eritreo, un racconto lungo con racconti marginali, e il blocco della Nigeria (1), sempre storie dentro le storie, ma non affastellate, nitide. Perciò non dovevano esserci orpelli nel paesaggio e nei costumi, e nemmeno negli attori, che sono in gran parte adolescentini eritrei e arabi, innocenti, come è innocente qualsiasi cosa essi facciano, anche le cose sessuali.


Mai un film ha dato tanta felicità a Pasolini: è un film difficile, che chiude un ciclo anche discusso. Dopo ci saranno altre storie, ma diverse. Si svolgeranno nel tempo moderno, anche se i temi sono presi dalla mitologia. Tre storie, come una specie di sintesi fra i primi film e l'intensità narrativa delle Mille e una notte. Poi Pasolini lascerà il cinema.


E finirò il romanzo che sto scrivendo, che non è nemmeno un romanzo, che forse è un saggio, e mi prenderà cinque, sei, sette anni, quanti anni? Non lo so. Ma mi pare di poter fare ormai il punto, di essere arrivato a una visione finale. Questa visione finale è allegra e lieve, non rinunciataria, né triste.


[1] Le storie ambientate in Nigeria, previste dalla sceneggiatura, non saranno realizzate (ndc).


Giulia Massari. L'idea delle Mille e una notte, intervista a Pier Paolo Pasolini, Il Mondo, 31 maggio 1973

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