Pasolini parla di Teorema per «Film und Radio mit Fernsehen»5.11.1970
- Città Pasolini

- 20 ott
- Tempo di lettura: 6 min

Pier Paolo Pasolini nella Berlinale, 1971 © Ullstein Bild/Bild Studio/Tutti i diritti riservati
L'importanza del contatto tra critici cinematografici e registi con il pubblico dei cineforum è stata nuovamente dimostrata dall'incontro con Pier Paolo Pasolini. Proprio i critici specializzati evidenziano quanto sia fondamentale il dialogo con i registi, per poter comprendere le loro intenzioni. Al tempo stesso, emerge anche una critica nei confronti degli autori cinematografici, che spesso non vogliono o non sanno più esprimersi in modo comprensibile.
Il film Teorema è stato presentato durante il convegno "Critica dell’ideologia nel film", organizzato dall'Accademia Cattolica in Baviera, a Monaco. Dopo la proiezione del film (durata 98 minuti), il dott. Gerd Albrecht (Colonia), docente di analisi filmica presso l’Accademia di cinema e televisione di Weimar, ha tenuto una breve introduzione. La discussione ha chiarito alcune questioni fondamentali. Ad esempio, nessuno ha contestato la suddivisione del film in quattro parti:
L’introduzione con la narrazione del passaggio della fabbrica (in realtà una riflessione critica sul meccanismo capitalistico);
L’arrivo del misterioso ospite e la conseguente trasformazione delle strutture familiari;
Il riconoscimento della perdita da parte dei personaggi (il figlio Pietro, la figlia Odetta, la madre Lucia, Emilia e Paolo);
L’esito finale: distruzione e dissoluzione. Odetta resta pietrificata, Emilia torna nel suo villaggio, Paolo si denuda nella stazione ferroviaria e si perde nel deserto.
Tutti concordavano sul fatto che il punto nevralgico del film risieda nel rapporto tra Emilia e Paolo. Inoltre, è stato riconosciuto che film e libro sono un'allegoria del passo biblico «Il Signore lasciò il popolo andare verso il deserto» (Esodo 13,18), che Pasolini interpreta come metafora del capitalismo (rappresentato da Paolo).
Durante il dibattito, sono emerse opinioni divergenti: alcuni consideravano il film come un’opera d’arte completa, altri invece vedevano nel misterioso ospite una figura cristologica, un essere perfetto che trasforma tutto e guida l’umanità verso una nuova dimensione (visivamente simboleggiata dal cambiamento nei colori del film), ma che alla fine si ritira, lasciando il vuoto.
Un piccolo gruppo di lavoro, a cui apparteneva anche chi scrive, ha posto alcune domande a Pasolini dopo il confuso dibattito. Le sue risposte, fornite tramite interprete, vengono riportate qui in parte letteralmente, in parte parafrasate.
Domanda: Il finale del film è positivo o negativo? (Emilia viene sepolta nella cava e da lì sgorga una sorgente.)
Pasolini: Emilia è l’unica persona nel film che sia stata in grado di riconoscere Dio. Appartiene al "sottoproletariato". Emilia è una domestica, una comunista cattolica non dichiarata. Esiste in lei una connessione profonda e contraddittoria tra Dio e il sottoproletariato. In Germania non esiste più questo ceto. Ma nei paesi in via di sviluppo è ancora presente, in un mondo arcaico e isolato. Il sottoproletariato contadino ha vissuto per millenni a contatto con esperienze religiose dirette. Emilia, proveniente da questo mondo, è per questo una figura positiva. È "redenta" dall’apparizione di Dio. Come santa (levitazione), diventa un segno.
Tuttavia, il film opera anche anacronicamente: le figure del sottoproletariato sono sì miracolose, ma non più comprensibili. Perciò Emilia è anche una figura negativa: si uccide, ma la sua morte non ha più significato. Nella cava si dice: il sottoproletariato si dissolve, si perde nel nulla. Riguardo alle lacrime che diventano sorgente: qui ho espresso la speranza personale che il mondo contadino (da cui provengo io stesso) possa generare nuovamente una fonte religiosa. (Pasolini ha infatti attribuito a sua madre il ruolo della Madonna nel Vangelo secondo Matteo, rappresentandola come una semplice contadina.)
Domanda: Perché il film termina con l’intervista (nella versione italiana), mentre nella versione internazionale essa manca?
Pasolini: Nel copione, l’intervista era prevista alla fine. In origine pensavo a due interviste: una sulla cessione della fabbrica, l’altra sul misterioso ospite. Così il significato sarebbe stato più chiaro. Ma la forma si è evoluta autonomamente. Il film è diventato una parabola enigmatica. Se l’intervista fosse stata posta alla fine, avrebbe spezzato la struttura compiuta della parabola. Per questo l’ho eliminata nella versione internazionale. Teorema è un’ipotesi. La rappresentazione del film ha portato all’assurdo ogni tesi (teorema: geometria o amore), e tutto è finito nello spazio della grazia.
Domanda: Il film riflette sull’abolizione della proprietà privata. È questo anche un attacco alla disumanizzazione dell’uomo?
Pasolini: La domanda è utopica, ma rispondo comunque: sì. Il mondo odierno è dominato dalla borghesia e dalla mentalità piccolo-borghese. Solo il sottoproletariato non è borghese. Una tale costruzione (come il mio film) è possibile solo al di fuori del cosiddetto Terzo Mondo, e quindi non può che essere utopica.
Domanda: Ciò significa che vede la religiosità stessa come potenzialmente rivoluzionaria?
Pasolini: Sì.
Domanda: Perché alla fine del film il colore resta? In altre parole: cosa giustifica il fatto che i colori rimangano alterati?
Pasolini: Il bianco e nero iniziale rappresenta una famiglia borghese tipica, fredda, razionale. Con l’arrivo dell’Ospite tutto cambia, e questo mutamento cromatico resta fino alla fine. L’ospite rappresenta Dio. La sua apparizione nel mondo è irreversibile, non può essere annullata. Nessuno dei personaggi è in grado di comprenderlo pienamente, ma tutti sono trasformati dalla sua presenza.
Io raffiguro Dio in modo non convenzionale, non confessionale. L’apparizione divina non ha i tratti che conosciamo dalla tradizione:
Dio nel film non è biblico né tradizionale.
Dio è ambiguo e molteplice – non è né ricco né povero, oppure è entrambi allo stesso tempo.
Mi ispirava l’idea di un archetipo, un Dio archetipico, che contiene tutto. Per esempio: è androgino, uomo e donna insieme, padre e figlio contemporaneamente. La sessualità nel film non è patologica né caricaturale, ma solo segno di comunicazione.
Domanda: L’Ospite è Dio, oppure è solo simbolo della possibilità divina? È un essere umano, o interviene nel mondo come qualcosa di totalmente altro?
Pasolini: L’Ospite (Terence Stamp) non è un uomo ideale. Spesso è addirittura antipatico. In origine volevo girare un film con un attore come quelli a cui siamo abituati, qualcuno che spiegasse tutto chiaramente, come un personaggio guida.
Per un anno ho cercato un attore che corrispondesse a questo ideale, ma non l’ho trovato. Solo allora ho capito che la mia idea era sbagliata. Alla fine ho scelto Terence Stamp, che incarna una commistione di grazia e durezza, maschile e femminile, padre e figlia. Secondo me, possiede la complessità necessaria per questo ruolo.
Domanda del pubblico: Perché la comunicazione tra l’ospite e i membri della famiglia è mostrata solo attraverso atti sessuali e non con il linguaggio?
Pasolini (con tono provocatorio): Non sono riuscito a trovare nessun attore che potesse dire parole «divine» in modo credibile, che comunicasse davvero. Per questo non ho potuto scrivere un testo teatrale: non sarei riuscito a far parlare Dio. Ecco perché ho fatto un film, non un'opera teatrale.
Domanda: Il grido di Paolo nel deserto è un eco del grido di Cristo nel Vangelo secondo Matteo?
Pasolini: Non l’avevo previsto, ma sì, si avvicina molto a questo. È un grido di disperazione e di sconfitta.
Un altro partecipante chiede: non è anche un grido di incertezza e speranza?
Pasolini: No, è un grido di incertezza e disperazione, non di speranza.
Domanda: Il finale del film è un’apertura alla speranza? In particolare: il deserto è simbolo solo di disperazione, o anche di purificazione?
Pasolini: Con il deserto volevo creare un simbolo dell’ascesi. Ascesi significa rifiuto della storia. Paolo giunge a una vita ascetica, ma poiché non ha mai avuto esperienza autentica dell’ascesi, non può sopravvivere. Va in rovina.
Segue quindi una discussione tra Pasolini e la critica Frieda Grafe-Patalas sulla differenza tra l’uso degli elementi formali e surreali nel cinema di Buñuel e in quello di Pasolini, e sul significato della semantica filmica in entrambi gli autori. La critica dei formalisti (tra cui probabilmente Frieda Grafe) rimprovera al film una certa ambiguità o mancanza di chiarezza. Si domanda se non si stia riducendo tutto a un linguaggio, a un sistema di segni, e se in questo modo non venga meno ogni dimensione di “rivelazione” o di esperienza spirituale non verbalizzabile.
Pasolini: Per rispondere bene, dovrei parlare a lungo. Teorema è quasi un simbolo vivente. È importante che comprendiate questo: la critica che mi muove è di voler dire troppo chiaramente, o di voler ridurre tutto a qualcosa di razionalizzabile. Ma per me vale esattamente l’opposto: nel cinema cerco di mantenere il mistero, l’enigma, l’inesprimibile. Più il film è “lento”, più è per me efficace. Lei (la critica) sembra invece voler ridurre tutto il film a una catena logico-linguistica.
Ora: il linguaggio è un sistema di segni, certo. Ma è un sistema finito, per quanto potenzialmente espandibile. I segni cinematografici, invece, sono di natura completamente diversa da quelli linguistici. Se io, per esempio, uso la parola “porta”, mi servo di un simbolo convenzionale e comprensibile. Ma se mostro una porta in un’immagine, allora entra in gioco qualcosa che non può essere pienamente verbalizzato. In altre parole: l’immagine è sempre più ricca di significato rispetto alla parola. Ognuno di noi possiede un proprio codice per interpretare la realtà, e il cinema lavora con questi codici in modo più sottile e allusivo rispetto al linguaggio verbale.
Questa controversia sul linguaggio cinematografico è poi proseguita in modo più tecnico, come dibattito tra specialisti. È stato menzionato il punto di vista del Dr. Gerd Albrecht (Colonia), il quale ha contestato con forza l’idea che la realtà filmica sia identica alla realtà vissuta. Per lui, il cinema non è un doppio del mondo, ma una costruzione autonoma.
La conversazione si è poi spostata sulla concezione di natura secondo Pasolini. Egli sostiene che la natura non è “reale” nel senso empirico del termine, ma una “questione donata”, quasi un’idea o un’esperienza originaria, che non può essere trattata come semplice oggetto della realtà.
Pasolini. Su Teorema. Intervistatore: Rindlisbacher, Dölf. «Film und Radio mit Fernsehen», 5.11.1970, pp.8-9. Traduzione all'italiano, Silvia Martín Gutiérrez



Commenti