top of page
  • Immagine del redattoreCittà Pasolini

Pasolini pedagogo. Intervista a Maria Laura Chiaretti, Pasolini Il coraggio di essere se stessi


Pier Paolo Pasolini nelle borgate di Roma, 1961 © Giancarlo Botti/Gamma-Rapho/Tutti i diritti riservati


- Gentile Maria Laura, ci potrebbe spiegare brevemente come nasce l’idea di pubblicare questo libro e anche, che cosa apporta alla conoscenza degli studi pasoliniani?


- Osservando la società mi sono resa conto che uno spaccato di questa umilia e mortifica le persone che vivono in una condizione di marginalità e vulnerabilità. Spesso ci si trova davanti persone nella coscienza indifferenti, che abbracciano una causa solo se direttamente coinvolti, quando dovrebbe interessare anche ciò che all’apparenza sembra non coinvolgere direttamente, bisogna immedesimarsi in chi si sente ghettizzato ed emarginato anche a causa di una morale spesso troppo assolutista. Questo libro l’ho scritto con le mani del cuore per una persona a me cara, con la quale ho condiviso una realtà poco considerata dal punto di vista umano e sociale. E scriverlo è stato un modo per stringergli la mano per sempre. È rivolto anche a quelle persone che ancora oggi fanno resistenza nell’accettare la totalità dell’esistenza umana, con l’auspicio che dalla lettura possano migliorare la sensibilità. Chi vuole ricostruire pezzo per pezzo un mosaico che farebbe invidia anche ai bizantini, deve liberare la mente da pregiudizi e stereotipi spesso costruzione fantastica di una non realtà e ripartire da zero, con il coraggio di essere se stessi. Ritengo, inoltre, che gli spunti qui contenuti non possano non essere di supporto.


- La colonna vertebrale del suo lavoro è la funzione pedagogica di Pasolini. Perché pensa che questa funzione sia così importante per capire Pasolini oggi?


- Per Pasolini lo scopo dell’educazione è la creazione di una cultura autenticamente democratica. E la scuola è un’arma di difesa contro il genocidio culturale che ha il fine di creare identità libere nel pieno rispetto delle norme di cittadinanza e convivenza civili per un’autentica inclusione. La cultura di massa omologante, e mortifica le intelligenze, banalizzandole ed è attraverso la paideia pasoliniana che è possibile auto-educarsi ed educare alla libertà, approdando a sviluppare un pensiero critico, libero e divergente.


- Attraverso la poesia, una merce che Pasolini considerava inconsumabile?


- Pasolini si è dimostrato un attento osservatore della vita rurale e del mondo contadino rimanendone linguisticamente affascinato. Trova nel friulano quel mezzo di espressione linguistica immune al proibizionismo della letteratura poetica del Novecento, tanto da definire quella parlata barbarica e materna “lingua pura di poesia”, facendone una scelta letteraria consapevole in opposizione alla bonifica linguistica portata avanti dal regime, mostrando come la libera e indipendente espressività linguistica coincida di fatto con la libertà dell’uomo. Scriverà infatti poesie dialettali che confluiranno in Poesie a Casarsa e che segneranno il suo esordio come poeta dialettale. Per Pasolini la poesia è il “sommo prodotto di civiltà” dalla forte azione educativa. È compito della scuola, attraverso la parola poetica, orientare i bambini e i ragazzi in età scolare verso la costruzione di un pensiero divergente e democratico. La poesia è anche un mezzo utile alla conoscenza e alla gestione dei conflitti e delle emozioni.


- Pasolini si servì di tutti i mezzi per interloquire con il pubblico, dai suoi inizi come insegnante in Friuli fino ai dialoghi con i lettori di Vie Nuove o Tempo, e pure gli scritti dedicati a Gennariello. Pensa che in tutti questi mezzi Pasolini interagì come pedagogo?


- La vocazione pedagogica di Pasolini emerge dalla sua intera produzione artistica che è arte pedagogica. Il suo valore pedagogico è l’insegnamento alla libertà di pensiero, al coraggio di essere se stessi e al bisogno che la società ha di avere persone con menti e cuori aperti.


- Quando nel 1971 Enzo Biagi intervistò Pasolini per il programma Terza B. Facciamo l’appello, puntata che non vide la luce fino a dopo il 2 novembre 1975 perché la RAI si rifiutò di mandarlo in onda, il poeta disse che nella TV esisteva una gerarchia che impediva di stabilire un dialogo con gli spettatori di pari a pari. Cosa ne pensa?


- Pasolini ha fermamente criticato la TV intesa come mezzo di riproduzione di massa, un prodotto diseducativo che lobotomizza e condiziona i reali bisogni e riflessioni dello spettatore-consumatore ridotto anch’esso a merce di consumo. Pasolini è un contestatore nauseato e indignato dalla cultura di massa che non si è mai autocensurato e si è sempre tenuto lontano da oscurantismi e vuoti proclami. Vedeva e raccontava ciò che uomini di superficie non avevano il coraggio di raccontare neanche a loro stessi. Con lui, compiendo la loro discesa intellettuale, si sono spesso dimostrati pronti ad abbandonarlo, liquidarlo, voltandogli le spalle cercando di farlo perdere come membro della società non degno di nota. Pasolini, invece, scavalca la mediocrità intellettuale e nella piena consapevolezza della sua solitudine non ha mai arretrato di un passo vivendo nel popolo e nei volti di chi veniva emarginato in cerca di un disperato amore unificante.


- Pasolini, nei giorni della XXVIII edizione della Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, dichiarò in un'intervista rilasciata alla televisione francese, di aver adoperato il mito per poter parlare di sé stesso. Un rifiuto della propria condizione borghese, che già dai tempi della sperimentazione dialettale, aveva spinto Pasolini alla ricerca di nuovi modi di affrontare l'autobiografia. Quale sarebbe il peso che l’elemento autobiografico avrebbe nella sua pedagogia?


- La diversità è il cuore pulsante del mondo pasoliniano. Egli ha fatto della sua vita l’esempio accompagnandoci maieuticamente a guardare l’uomo secondo la sua bellezza che poi è la sua unicità. Ha esposto il suo corpo come materia poetica, di scandalo e politica, incarnando e rappresentando quelle persone escluse dalla civile convivenza. È riuscito a mostrare come dall’inclusione e comprensione per l’Altro possa nascere un nuovo sentimento per il mondo.


- Lei ha dedicato parte del suo libro alla scoperta dell’altro in Pasolini. Già negli anni Quaranta questo rifiuto della propria condizione di piccolo-borghese lo aveva spinto verso la sperimentazione con il dialetto. Dopo, il mondo contadino friulano, inteso come una realtà che a lui, appartenente alla classe borghese, era stata negata. Poi, negli anni Cinquanta, attraverso il discorso indiretto libero, Pasolini si era immerso nella realtà del parlante, di quell'altro, che era l'uomo della borgata, della sua condizione di subalternità e marginalità. Quindi, nel cinema la situazione è stata analoga?


- Pasolini ha indagato e mostrato anche attraverso le pellicole cinematografiche come la borghesia abbia subìto una scissione in: borghesia popolare e borghesia proletaria, in cui il borghese è stato dominato da una fame volontaria che è un insulto verso la vera fame della miseria. È stato un regista nazional popolare e i suoi film sono atti autentici di democrazia oltre che una scelta strategica didattico-educativa che gli ha consentito di raggiungere un pubblico sempre più ampio, così da non lasciare indietro nessuno in quel processo d’apprendimento che dura per l’intero arco della vita. Contestualmente ha offerto di fatto la possibilità allo spettatore di fare esperienza riconoscendo se stessi dell’Altro.


- Adesso vorrei chiederle sugli aspetti più personali della pubblicazione del suo libro. Com’è stato il processo e come di difficile è avere un posto per diffondere studi su Pasolini oggi?


- Il mio sguardo va a persone che mi hanno dato voce e fiducia come lei o come Dacia Maraini che ha corredato il mio libro con la sua prefazione. Ho avuto modo di conoscerne altre, oltre i confini nazionali, che hanno apprezzato la mia indagine su Pasolini.


- Dopo il centenario della nascita di Pasolini, siamo stati in grado di apportare qualcosa di nuovo per gli studi futuri?


- Da parte mia penso sia un processo che mai possa ritenersi compiuto. In eredità Pasolini ci ha lasciato il suo pensiero che è sopravvissuto alla sua morte divulgarlo, come stiamo facendo qui e ora grazie alla sua intervista.





Città Pasolini intervista Maria Laura Chiaretti, autrice del volume Pier Paolo Pasolini. Il coraggio di essere se stessi (2023) Armando Editori.
1.520 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
© Contenuto protetto da copyright
bottom of page