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Peter Dragadze, per Gente, intervista a Casarsa della Delizia la mamma di Pasolini (febbraio 1976): Per me, Pier Paolo non è morto.

  • Immagine del redattore: Città Pasolini
    Città Pasolini
  • 7 giorni fa
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A colloquio con la madre di Pasolini, che ancora non sa come è morto lo scrittore


PIER PAOLO È LONTANO, IN UN BEL POSTO: FORSE ASPETTA CHE IO VADA A TROVARLO


«Per una madre un figlio non è mai morto», dice Susanna Pasolini - Le sue sorelle vigilano affettuosamente su di lei perché non sappia tutta la verità - «Pier Paolo era molto religioso «E' stato un eroe, come suo padre» - Due volte al giorno si reca sulla tomba del figlio.


di PETER DRAGADZE


Casarsa (Pordenone), febbraio


«Per me, Pier Paolo non è morto. E' solo in viaggio. E' lontano da casa, in qualche bel posto, dove forse aspetta che io vada a trovarlo. Era un poeta, e un poeta non può morire, perché le parole che ha scritto continuano a vivere per sempre. Anche l'altro mio figlio, Guidalberto, è in viaggio. Si è sacrificato per aiutare gli altri, e quindi è naturale che anche lui continui a vivere. Lei non può saperlo, ma anche Guido era uno scrittore. Non ha avuto il tempo di fare tutto quello che voleva... C'è una cosa che voi uomini non potete capire: per una madre un figlio non può mai essere morto, perché continua a vivere dentro di lei, nel suo cuore, nella sua anima, nella sua mente».


Susanna Pasolini ha perso tutt'e due i figli, a distanza di trent'anni l'uno dall'altro. Il maggiore, Guidalberto, era un "partigiano bianco", e fu massacrato da altri italiani, i "partigiani rossi", non lontano dal confine con la Jugoslavia, in uno dei molti episodi tragici e oscuri della guerra civile.


«Vede», dice Susanna Pasolini con un orgoglio che l'aiuta a vincere le lacrime «ci sono sempre stati poeti nella nostra famiglia. Mio padre, Domenico Colussi, il nonno di Pier Paolo, si divertiva a inventare brindisi in versi per gli amici e i parenti. Era un poeta e un umorista, ci faceva ridere tutti anche nei momenti più difficili. Prima di lui, anche suo padre, un altro Domenico Colussi, compose in versi il suo testamento. Pier Paolo e Guido devono avere ereditato dai vecchi qualche cosa che li ha spinti a scrivere fin da quando erano giovanissimi ».


L'incontro con la madre di Pier Paolo Pasolini, ormai ottantenne, avviene a Casarsa della Delizia, una borgata di seimila abitanti nella pianura friulana, tra Pordenone e Udine. In questa borgata, una volta conosciuta per i suoi vini ed ora nota come "il paese di Pasolini", i Colussi abitano da quattrocento anni. Qui è cresciuto il regista-scrittore, e qui è seppellito. Dopo la morte del figlio in novembre, la signora Pasolini ha lasciato la casa di Roma, all'Eur, ed è tornata nella casa dei Colussi, una casa di tre piani nella via intitolata a Guidalberto Pasolini, il figlio ucciso trent'anni fa.


Le fanno compagnia le sue due sorelle. La più giovane, la signorina Giannina Colussi, ha 70 anni, è una maestra in pensione, ed è piccola, delicata, quasi trasparente, come Susanna Pasolini. L'altra sorella, la signora Enrichetta Naldini, una vedova di 78 anni, è un po' più robusta e sembra quella che sovrintende all'andamento della casa. Hanno tre cose in comune: una coraggiosa serenità, gli occhi limpidi che guardano dritto in faccia e la naturale cortesia di quella che una volta si chiamava la solida borghesia italiana.


Lo scopo originario della mia visita alla signora Pasolini era di consegnarle alcuni manoscritti che Pier Paolo mi aveva affidato poco prima della morte. Ma la giornata che ho trascorso con lei a Casarsa mi ha dato modo di raccogliere impressioni e informazioni sul poeta e sulla sua famiglia, o così, alla fine, ho chiesto alle tre sorelle, e ho ottenuto, il permesso di raccontare in un articolo questa giornata.


«ERA UN BUON PITTORE»


«Venga quando vuole, dopo le nove del mattino, perché la signora si alza sempre presto», era stata la risposta alla mia richiesta di incontrare la madre di Pasolini. «Stia attento a parlare, però. La signora non sa ancora come è morto Pier Paolo. Sa solo che è morto in un incidente d'auto, e nient'altro. E' meglio che non sappia la verità».


La stessa raccomandazione mi è stata ripetuta sottovoce da Giannina Colussi quando mi ha aperto la porta del nu- mero 4 di via Guidalberto Pasolini. Ho domandato: «Ma come è stato possibile, in questi tre mesi, nasconderle la verità?».


Giannina Colussi ha risposto: «Al momento della tragedia, lo shock è stato così forte che mia sorella si è come estraniata dal mondo, da tutto. Per molti giorni è rimasta completamente assente. Non facciamo più entrare in casa né giornali né riviste. Le diciamo che il televisore si è guastato, che non si riesce a trovare un tecnico per la riparazione, oppure che i programmi sono così scadenti che non vale la pena di guardarli. Non la lasciamo mai sola, neanche per un attimo, e naturalmente controlliamo sempre la posta per evitare che qualche carogna aggravi la tragedia»


«Ma è possibile», insisto «che proprio non sappia?». «Forse», risponde Giannina Colussi forse mia sorella intuisce che non le è stata detta la verità. Qualunque cosa pensi o immagini, non ne ha mai accennato a noi della famiglia: neanche una parola».


«E di salute come sta?». «Bene, per la sua età. Il cuore è sano, la circolazione funziona, la digestione è per- fetta. L'unica cosa di cui ha bisogno è qualche tranquillante, di giorno per farle passare un po' di agitazione e la sera per farla dormire».


Susanna Pasolini è seduta su un divano in un salottino del primo piano. I mobili sono semplici, di buon gusto. Alle pareti sono appese fotografie di Pier Paolo, da solo e con Maria Callas, con il presidente Gronchi, con Federico Fellini, con Laura Betti e con Madame Pompidou, la vedova del presidente francese. Quasi tutte rappresentano il regista mentre ritira o consegna premi «Tutti amici di mio figlio», dice con fierezza la signora Pasolini.


Alle pareti ci sono anche di- segni a penna e a carboncino. «Pier Paolo era un buon pittore», dice la madre. «Li ha fatti tutti lui, questi disegni. Quella là sono io. Il disegno è bello, ma mi ha un po' imbruttita», dice ancora, sorridendo con un po' di civetteria. E' la prima volta che sorride.


«Anche Guido scriveva e dipingeva», ricorda a bassa voce. « Sarebbe diventato famoso anche lui, se non fosse stato per la guerra».


La signorina Colussi interviene cercando di cambiare argomento. La Callas era molto simpatica», dice indicando la fotografia.


«Brava, la Callas», commenta la signora Pasolini. «Voleva molto bene a mio figlio». Riprende tra le mani il suo lavoro di uncinetto.


«Sta facendo una copriteiera», spiega la signora Naldini «perché io non mi scotti le dita. E' un modo per passare il tempo».


C'è un breve silenzio imbarazzato. «Suo figlio», dico «aveva per lei un affetto e un'ammirazione senza limiti. Che tipo di figlio era?».


«SALVO' UNA RAGAZZA»


«Pier Paolo era un figlio perfetto, un modello di bontà, di gentilezza e di comprensione», risponde Susanna Pasolini. «Ogni mattina, appena alzato, veniva a domandarmi come stavo e se c'era qualcosa che poteva fare per me. Era un vero cavaliere. Gli sembrava che niente fosse abbastanza buono per me. "Mamma", mi disse prima di partire per uno dei suoi ultimi viaggi "ti ho comprato una pelliccia. Ti terrà caldo, se torni al paese per le vacanze". Gli piaceva portarmi via da Roma, con le mie sorelle. Spesso andavamo insieme al mare o in montagna».


«Qualche volta suo figlio discuteva con lei del suo lavoro o della sua vita personale?».


«Qualche volta mi parlava dei suoi libri e delle sue poesie, e spesso mi leggeva dei pezzi prima che fossero stampati. Ma non ci diceva mai niente della vita che faceva fuori di casa. Era molto occupato. La mattina se ne stava quasi sempre chiuso nel suo studio. Poi veniva a mangiare con noi, ma sbrigava il pranzo in pochi minuti... Aveva sempre una gran fretta... Nel pomeriggio tornava a scrivere oppure usciva. Spesso stava fuori fino a molto tardi. Passava un mucchio di tempo con i suoi amici: Moravia, la Betti, Elsa Morante, i fratelli Citti, Ninetto e sua moglie... Sì, Ninetto Davoli, un gran bravo figliolo».


«Signora Pasolini, lei ha visto molti film di suo figlio?». «I più recenti non li ho visti. Quello che preferisco è Il Vangelo secondo Matteo. Sa, Pier Paolo insistette tanto perché facessi io la parte della Madonna. Io esitavo, e lui disse: "Mamma, per ogni uomo che vuol bene alla sua famiglia, la madre è una Madonna. Dunque, non c'è niente di male se tu hai una parte nel mio film". Pier Paolo era molto religioso, sa. Aveva una fede enorme».


«E da ragazzo andava molto in chiesa?».


«Spesso, quando eravamo qui in paese. Ma poi, dopo il trasferimento a Roma, al prin- cipio aveva molti problemi, molte preoccupazioni. E quando gli domandavo perché non andava più in chiesa, lui rispondeva: "Se uno crede, Dio è dentro di lui. Non è necessario andare in chiesa. Vedi, mamma, ci sono molti che vanno in chiesa e non sono credenti" ».


«Signora Pasolini, sappia. mo tutti che nel carattere di Pier Paolo c'erano due lati molto diversi, quasi opposti. Era nervoso, piuttosto agitato e perfino violento, come confermano alcuni suoi film e certi libri come Una vita violenta e Ragazzi di vita. Ma era anche incredibilmente gentile, comprensivo, generoso, affettuoso. Posso pensare che la dolcezza venisse da lei, signora Pasolini, dal lato materno della famiglia. Ma da dove veniva l'altra parte della sua personalità? Forse da suo padre?».


«Suo padre? Non saprei», rispose Susanna Pasolini, scuotendo il capo. «Mio marito, il padre di Pier Paolo, era il colonnello Carlo Alberto Pasolini. A 39 anni aveva un comando importante a Bologna. Era dritto come un fuso, un vero soldato. Purtroppo, uomini come Carlo Alberto non ne esistono più. Era stato un eroe, con due medaglie d'argento. Una era al valor militare, e se l'era conquistata in Africa. L'altra, al valor civile, gliela avevano data perché aveva salvato la vita a tre persone che stavano annegando in un lago dalle parti di Mantova. Anche il mio Pier Paolo era un eroe. Nel 1946 aveva compiuto anche lui un atto di coraggio, esattamente come suo padre. A quel tempo la gente del paese non aveva l'abitudine di andare al mare. Nella stagione calda quelli di Casarsa andavano tutti a tuffarsi nel Tagliamento. Un giorno (mi ricordo come se fosse ieri), Giuliana, la figlia del nostro farmacista, finì in un gorgo. Una cosa terribile. Tutti gridavano aiuto, ma nessuno si muoveva. Solo Pier Paolo si buttò nel fiume, la raggiunse e la tirò in salvo. In seguito questa Giuliana andò a vivere a Firenze, ma una volta tornò a Casarsa e volle rivedere Pier Paolo e gli disse: "Ti devo la vita. Grazie!" ». Interviene la signora Naldini: «Pier Paolo era un eroe come suo padre e sua madre. Anche Susanna è una donna coraggiosa. Non c'è niente che le faccia paura. Anche se avesse paura, non lo farebbe capire mai: mai, neanche per un secondo. Ce ne sono poche di donne con tanto coraggio».


«Signora Pasolini», riprendo Pier Paolo si compiaceva di descrivere sua madre come una contadina. Forse era una idealizzazione romantica, una nostalgia per la vita agreste a suggerirgli questa immagine della madre; ma non credo che lei abbia mai lavorato nei campi. Alcuni dicono anche che suo marito era un conte, imparentato con un'aristocratica famiglia di Ravenna, i Pasolini dall'Onda».


«Noi Colussi», risponde Susanna Pasolini « viviamo a Casarsa dal Cinquecento. Erano una delle famiglie più importanti del paese. Possedevano dei terreni, e mio nonno, Domenico Colussi, quello che compose il suo testamento in versi, era proprietario di una distilleria. Non l'abbiamo più, perché adesso tutto il vino prodotto a Casarsa va al Consorzio. Mia sorella Giannina ed io abbiamo il diploma di insegnanti; e altri della nostra famiglia si sono laureati. Ma per voi della città tutti quelli che vivono in campagna sono contadini. Per noi della campagna, invece, è contadino chi ama la terra».


IL TITOLO DI CONTE


«La famiglia di mio marito, diceva. Luigi Pasolini, un cugino di Carlo Alberto, era convinto che anche il loro ramo fosse nobile. Si batté in tribunale per anni per avere il riconoscimento, e alla fine il Consiglio di Stato decretò che anche lui era conte e poteva chiamarsi Pasolini dall'Onda. E allora, se era conte lui, devo credere che lo fosse anche mio marito e anche Pier Paolo. Ma Pier Paolo rideva sempre di questa storia. A noi diceva che quello che conta è il cervello, non il titolo, non il denaro».


«Questa mattina, arrivando a Casarsa», osservo «ho fatto un giro in paese. Ho notato che, per un centro così piccolo, l'attività culturale è addirittura impressionante. I film in programma sono di quelli che i critici definiscono "difficili": Solaris, per esempio, del regista russo Andrei Tarkovski. E il programma del Centro culturale comprende Via Lattea

di Buñuel, Il settimo sigillo di Ingmar Bergman, Galileo della Cavani. L'Istituto Regionale di Studi europei ha anche annunciato (ingresso gratis) film in francese come Blanche di Borowozyk, Vivre sa vie di Jean-Luc Godard e La modification di Worms. In che misura Pier Paolo ha contribuito allo sviluppo culturale di Casarsa?».


«Ha fatto moltissimo», dice Susanna Pasolini. «Fu lui a istituire il cineforum. E poi teneva conferenze, organizzava tavole rotonde. Nel 1947 aveva fondato l'Academie de lenghe furlane "Guido Pasolini", una piccola accademia che aveva una sede proprio qui vicino, dove c'è adesso la tintoria. Nello stesso periodo, con alcuni amici, varò una rivista mensile, Il Stroligut (e cioè l'astrologo), che conteneva saggi e poesie di giovani che non avevano altro mezzo per pubblicare i loro lavori».


«ASPETTIAMO NOTIZIE»


« Che cosa pensava di Pier Paolo la gente di Casarsa? ».


«Lo ammiravano. Ben pochi, di tutti gli abitanti, sono rimasti indifferenti quando è successa la disgrazia. Al funerale c'era tutto il paese, e quel giorno ci siamo resi conto di avere tanti, tantissimi amici. Adesso, al cimitero, Pier Paolo ha una tomba provvisoria, ma il sindaco di Casarsa ha donato la terra dove l'architetto Valle e il pittore Zigaina innalzeranno un monumentino perpetuo... Vuol venire con me a vedere la tomba? Ci vado due volte al giorno con le mie sorelle, la mattina e il pomeriggio. Ma questa mattina era troppo freddo per andarci. Saremmo contente se lei si fermasse a pranzo. Così potremmo fare la passeggiata nel pomeriggio. E' soltanto un chilometro».


Nella sala da pranzo al pianterreno la signora Naldini ha preparato ravioli fatti in casa con sugo di carne, arrosto di vitello e frutta. «Si sieda a capotavola», mi dice la signora Naldini. «E' il posto dell'uomo, e visto che qui non abbiamo più nessun uomo, ci farebbe piacere se oggi quel posto lo prendesse lei».


«Prenda un po' del nostro vino di Casarsa», aggiunge la signorina Colussi. «E' Pinot grigio, quello preferito da Pier Paolo. E' molto leggero e non va alla testa».


Seduto nella sala da pranzo (tra le vecchie fotografie ingiallite dei due Domenico Colussi, padre e figlio, entrambi con i baffoni dell'epoca, solenni e meticolosamente curati), non posso sottrarmi a una ammirazione sempre più profonda per queste tre vecchie sorelle e al pensiero che i veri eroi non sono quelli che muoiono, ma quelli che devono continuare a vivere. L'ammirazione e questo pensiero si rinnovano durante la visita al cimitero con Susanna Pasolini e Giannina Colussi.


«Il mio figlio maggiore è sepolto laggiù», dice la signora Pasolini indicando una tomba con quattro angeli di marmo dedicata ai partigiani di Casarsa. E mio marito è là», aggiunge mostrando una lastra di marmo con le parole "Riposi in pace Colonnello d'Artiglieria Carlo Alberto Pasolini"».


La tomba provvisoria del regista-scrittore è indicata da un nastro di carta azzurra e dorata su cui è scritto soltanto il suo nome. Sotto il nastro, una fotografia a colori che, mi spiega la signora Pasolini, è stata ritagliata da una rivista. «E' proprio lui, non è vero?», dice la vecchia signora chinandosi a baciare la fotografia. Il vento e il sole hanno già sbiadito il ritratto e il nastro con il nome.


Torniamo a casa. La signora Pasolini vorrebbe ancora parlare del figlio. «Questi sono libri suoi, le copie che mi aveva regalato», dice togliendo da un cassetto La nuova gioventù, Uccellacci e uccellini, Il sogno di una cosa, Teorema e Poesia a Casarsa. «E questa è la poesia che aveva scritto in memoria di suo fratello, aggiunge porgendomi un volumetto intitolato Sot la Nape (Sotto il camino) e pubblicato dalla Società Filologica Friulana G. I. Ascoli.


«Lei non capisce il nostro dialetto, ma gliela voglio leggere lo stesso», dice Susanna Pasolini con un tremito nella voce:


A ME FRADI MUART:


Crist al à rifiutata

che dols muart di ogni dì,

a la so Crous teribila

a è stat dismintiassi.


Voluntata no pì umana

di loissà stes e so mari

e so fradi tal mond.

O sant sanc inossent

pojat con tun dolour

che doma un zooin vif

al post trimant capilu.


Questi versi, in un adattamento italiano non strettamente letterale, significano: "Cristo gli ha negato la dolce morte comune, alla sua terribile croce è stato dimenticato. Volontà non più umana - di lasciare se stesso e sua madre e suo fratello in questo mondo! - O santo sangue innocente - sepolto con tanto dolore che solo un giovane vivo - può tremando capire").


Si è fatto buio, è ora di congedarsi da questa famiglia che ha saputo nascondere con tanta dignità il proprio dolore. Faccio un'ultima domanda alla signora Pasolini: «Che cosa fa, con le sue sorelle, qui a Casarsa, per far passare queste lunghe serate d'inverno?».


«Che cosa pensa che possano fare tre signore anziane come noi?», risponde la madre di Pier Paolo. «Qualche volta andiamo al cineforum o a un concerto in paese. Ma quasi sempre ce ne stiamo qui tutt'e tre, sedute, ad aspettare. Ad aspettare notizie della nostra famiglia. Dei pochi che sono rimasti. Ma che vuole... Forse aspetto la visita dei miei figli, di Pier Paolo e di Guido... E forse quel giorno non è troppo lontano. Chi sa... ».


Peter Dragadze, A colloquio con la madre di Pasolini, che ancora non sa come è morto lo scrittore. PIER PAOLO È LONTANO, IN UN BEL POSTO: FORSE ASPETTA CHE IO VADA A TROVARLO, su Gente, 18 febbraio 1976, pp. 8-12.

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