Pasolini con Italo calvino. Scatto da Federico Garolla © Centro Studi Pier Paolo Pasolini Casarsa della Delizia
Dove sono le armi? Io non conosco
che quelle della mia ragione:
e nella mia violenza non c'è posto
NEANCHE PER UN'OMBRA DI AZIONE
NON INTELLETTUALE. Faccio ridere
ora, se, suggerite dal sogno,
in un grigio mattino che videro
morti, e altri morti vedranno, ma per noi
non è che un ennesimo mattino, grido
parole di lotta? Non so poi
che ne sarà di me a mezzogiorno,
ma il vecchio poeta è «ab joi»
che parla, come lauzeta o storno
- e come un giovane vorrebbe morire.
Dove sono le armi? Non ritornano
i vecchi giorni lo so, ogni aprile
rosso, di gioventù, è passato.
Solo un sogno, di gioia, può aprire
una stagione di dolore armato.
Io che fui un partigiano inerme
- un mistico, imberbe Innominato -
adesso sento nella vita il germe
orrendamente profumato della Resistenza.
Nel mattino le foglie sono ferme
come sul Tagliamento o la Livenza:
non è un temporale che viene,
né una sera che scende, è l'assenza
della vita, che si contempla, si tiene
lontana da sé, intenta a capire
forze ancora la empiano: profumo d'aprile!
un giovane armato per ogni filo d'erba,
volontario per voglia di morire!
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Bene, mi sveglio per la prima volta in vita mia
col desiderio d'impugnare un'arma.
Il ridicolo è che lo dico in poesia
- e a quattro amici di Roma, due di Parma –
che mi capiranno, in questa nostalgia
idealmente tradotta dal tedesco, in questa calma
archeologica, che contempla un'Italia solatia
e spopolata, sede di partigiani barbari,
che scendono Alpi o Appennini, per la Vecchia Via...
Non è la mia che frenesia dell'alba.
A mezzogiorno sarò coi miei connazionali
alle opere, ai pasti, alla realtà che inalbera
la bandiera, oggi bianca, dei Destini Generali.
E voi, comunisti, miei compagni non compagni,
ombre di compagni, straniati cugini carnali
persi nei giorni presenti come in lontani,
non immaginati giorni del futuro, voi, padri
senza nome, che avete sentito richiami
che io credevo simili ai miei, quelli che ardono
oggi come dei fuochi abbandonati,
sulle fredde pianure, lungo i margini
dei fiumi dormienti, sui monti bombardati...
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Prendo tutta su di me la colpa (vecchia
mia vocazione, inconfessata, facile fatica)
della disperata nostra debolezza
per cui milioni di noi, con una vita
in comune, non furono in grado
di andare fino in fondo. È finita,
trallallà, cantiamo, cadono
le ultime foglie della Guerra
e della martire vittoria, sempre più rade,
distrutte a poco a poco da quella
che sarebbe stata la realtà,
non solo della cara Reazione, ma della bella
Socialdemocrazia nascente, trallallà.
Prendo (con piacere) su di me la colpa
di aver lasciato tutto com'era:
della sconfitta, della sfiducia, della sporca
speranza degli Anni Amari, trallallera.
E prendo su di me lo straziante
dolore della nostalgia più nera,
quella che si rappresenta le cose rimpiante
con tanta verità, che spera
quasi di ricrearle, o ricostruirne le infrante
condizioni che le necessitavano, trallallera...
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Dove sono sparite le armi, pacifica
produttiva Italia che non importi al mondo?
Nella schiava bonaccia che giustifica
oggi la ristrettezza come ieri il benessere - dal profondo
al ridicolo - e nella più perfetta solitudine -
j'accuse! No, calma, non il Governo, o il Latifondo,
o i Monopoli - ma solo i loro drudi,
gl'intellettuali italiani, tutti,
anche coloro che giustamente si giudicano
miei forti amici. Saranno stati questi i più brutti
anni della loro vita: PER AVERE ACCETTATO
UNA REALTA CHE NON C'ERA. I frutti
di questa connivenza, di questo ideale peculato,
sono che la realtà reale ora non ha poeti.
(Io? Io sono inaridito e superato.)
Ora che Togliatti se ne va con gli echi
degli ultimi scioperi di sangue,
vecchio, nel numero dei profeti
che, ahi, hanno avuto ragione - sogno nel fango
armi nascoste, nel fango elegiaco
tra piccoli che giocano, vecchi padri che vangano,
mentre dalle lapidi cade la malinconia,
le liste dei nomi si incrinano,
i coperchi delle tombe saltano via,
e i giovani cadaveri con la spolverina
che usava in quegli anni, i calzoni
larghi, e sulla chioma partigiana la bustina
militare, scendono lungo i muraglioni
dove stanno i mercati, giù dai viottoli
che uniscono i primi orti ai costoni
delle colline: scendono dai cimiteri. Giovanotti
con negli occhi qualcos'altro che amore:
una follia segreta, di uomini che lottano
come chiamati da un destino diverso dal loro.
Con quel segreto che non è più segreto,
scendono giù, muti, nel primo sole,
e, pur così vicino alla morte, il loro è il passo lieto
di chi ha tanto cammino da fare nel mondo.
Ma essi sono abitanti del monte, del greto
selvaggio del fiume padano, del fondo
della fredda pianura. Cosa fanno fra noi?
Tornano, e nessuno li ferma. Non nascondono
le armi - che stringono senza dolore né gioia -
e nessuno li guarda, come accecato dal pudore
per quell'osceno brillare di mitra, quel passo d'avvoltoi,
che scendono al loro oscuro dovere, nella luce del sole.
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Vorrei vedere chi ha il coraggio di dirgli
che l'ideale che arde segreto nei loro occhi
è finito, appartiene ad altro tempo, che i figli
dei loro fratelli da anni ormai non lottano
più, e la storia crudelmente nuova,
ha dato altri ideali, li ha quietamente corrotti...
Toccheranno, rozzi come barbari poveri,
le nuove cose che in questi due decenni l'uomo
crudele si è dato, cose inette a commuovere
chi cerca giustizia...
Ma facciamo festa, prendiamo le bottiglie
del buon vino della Cooperativa...
A sempre nuove vittorie, e nuove Bastiglie!
Il Refosco, il Bacò... Evviva, Evviva!
Salute, vecchio! Forza, compagno!
E tanti auguri alla bella comitiva!
Viene da oltre le vigne, da oltre lo stagno
delle Fonde, il sole: dalle tombe vuote,
dalle lapidi bianche, dal tempo lontano.
Ma adesso che violenti, assurdi, con ignote
voci di emigranti, sono qua,
impiccati a lampioni, straziati da garrote,
chi, alla nuova lotta, li guiderà?
Togliatti, lui, è finalmente vecchio
come per tutta la vita egli ha
voluto, e si tiene allarmato nel petto
come un pontefice, il bene che gli vogliamo,
sia pur fissato in epico affetto,
lealtà che accetta anche il più disumano
frutto di lucidità arsa e tenace come scabbia.
«Ogni politica è una realpolitica», anima
guerriera, con la tua delicata rabbia!
Non riconosci un'altra anima, eh? Questa
dove c'è tutta la prosa dell'uomo abile,
del rivoluzionario attaccato all'onesta
media dell'uomo (anche la complicità
con gli assassinii degli Anni Amari s'innesta
nel classicismo protettore, che fa
il comunista perbene): non riconosci il cuore
che diventa schiavo del suo nemico, e va
dove il nemico va, condotto dalla storia
ch'è storia di tutti due, e li fa, nel profondo,
stranamente fratelli; non riconosci i timori
d'una coscienza che, lottando col mondo,
ne condivide le norme della lotta nei secoli,
come per un pessimismo in cui affondano,
per farsi più virili, le speranze. Lieto
d'una lietezza che non sa retroscena
è questo esercito - cieco nel cieco
sole - di giovani morti, che viene
ed aspetta. Se il suo padre, il suo capo,
lo lascia solo nei bianchi monti, nelle serene
pianure - assorbito in un misterioso dibattito
con il Potere, legato alla sua dialettica
che la storia rinnova senza pace -
piano piano dentro i barbarici petti
dei figli, l'odio si fa amore per l'odio,
ardendo solo in essi, i pochi, i benedetti.
Ah, Disperazione che non conosci codici!
Ah, Anarchia, libero amore
di Santità, con i tuoi canti prodi!
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Prendo, anche, su di me la colpa del tentare
tradendo, del lottare arrendendosi,
dell'accettare il bene come il minor male,
antinomie simmetriche che io tengo
in pugno come vecchie abitudini...
Tutti i problemi dell'uomo, col loro tremendo
volerci ambigui (il nodo delle solitudini
dell'io che si sente morire
e non vuol presentarsi davanti a Dio nudo):
tutto prendo su me, onde poter capire,
da dentro, il frutto di quell'ambiguità:
un uomo adorabile, da cui in questo aprile
incalcolato, mille giovani scesi dall'Aldilà,
aspettano fiduciosi un segno che abbia
la forza della fede senza pietà,
a consacrare la loro umile rabbia.
Struggente, è in lui, Nenni, l'incertezza
con cui ha rimesso in gioco se stesso, e l'abile
coerenza, l'accettata grandezza.
Con cui ha rinunciato all'epico affetto
che poteva anche a diritto avere avvezza
la sua anima: e, uscendo dalla scena di Brecht,
per ritirarsi nei bui retroscena,
dove impara nuove parole reali l'eroe incerto,
ha spezzato a sue spese la catena
che lo legava al popolo come un vecchio idolo,
dando alla sua vecchiezza nuova pena.
I giovani Cervi, mio fratello Guido,
i ragazzi caduti a Reggio nel Sessanta,
col loro casto, il loro forte, il loro fido
occhio, sede della luce santa,
lo guardano, e aspettano le vecchie parole.
Ma egli, eroe ormai diviso, manca
ormai della voce che tocca il cuore:
si rivolge alla ragione non ragione,
alla sorella triste della ragione, che vuole
capire la realtà nella realtà, con passione
che rifiuta ogni estremismo, ogni temerità.
Che cosa dirgli? Che la realtà ha una nuova tensione
che è quella che è, e ormai non ha
più senso altro che accettarla...
CHE LA RIVOLUZIONE DIVENTA ARIDITÀ
S'È SENZA MAI VITTORIA... che forse non è tardi
per chi vuol vincere, ma non con la violenza
delle vecchie, disperate armi...
Che bisogna sacrificare la coerenza
all'incoerenza della vita, tentare un dialogo
creatore, anche contro la nostra coscienza.
Che la realtà, anche di questo piccolo, avaro
Stato, è più di noi, è sempre un'immensa cosa:
e bisogna rientrarne, se pure è così amaro...
Ma che ragione volete che ascolti questa ansiosa
masnada di uomini, che hanno lasciato - come
dicono i canti - la casa, la sposa,
la vita stessa, proprio nel nome della Ragione?
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Ma c'è forse, una parte dell'anima dí Nenni, che vuole
dire a questi compagni - venuti da laggiù,
con vesti militari, i buchi nelle suole
delle scarpe borghesi, e la loro gioventù
innocentemente assetata di sangue –
«Dove sono le armi? Avanti, su,
prendetele, dalla paglia, dal fango,
non vedete che non è cambiato niente?
Coloro che piangevano ancora piangono.
Quelli di voi che hanno cuore puro e innocente
vadano a parlare in mezzo ai tuguri,
ai caseggiati della povera gente,
che dietro i suoi vicoli e i suoi muri
nasconde la peste vergognosa, la passività
di chi si sa tagliato fuori dai giorni futuri.
Quelli di voi che possiedono un cuore
votato alla maledetta lucidità,
vadano nei laboratori, nelle scuole,
a ricordare che nulla in questi anni ha
mutato la qualità del conoscere, eterno pretesto,
forma utile e dolce del Potere, NON MAI VERITÀ.
Quelli di voi che obbediscono a un onesto
vecchio imperativo di religione
vadano tra i figli che crescono
col cuore vuoto di ogni reale passione,
a ricordare che il loro nuovo male
è SEMPRE, ANCORA la divisione del mondo. Quelli
infine tra voi a cui una triste nascita casuale
in famiglie senza speranza, ha dato spalle dure, capelli
ricci di criminale, oscuri zigomi, occhi senza pietà,
vadano, tanto per cominciare, dai Crespi, dagli Agnelli,
dai Valletta, dai potenti delle Società
che hanno portato l'Europa sulle rive del Po:
è giunta per ognuno di loro l'ora che non ha
proporzione con quanto ebbe e quanto odiò.
Coloro poi che hanno sottratto al bene comune
capitale prezioso, e che nessuna legge può
punire, ebbene, andate, legateli con la fune
dei massacri. In fondo a Piazzale Loreto
ci sono ancora, riverniciate, alcune
pompe di benzina, rosse nel quieto
solicello della primavera che riviene
col suo destino: è ora di rifarne un sepolcreto.»
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Se ne vanno... Aiuto, ci voltano le schiene,
le loro schiene sotto le eroiche giacche
di mendicanti, di disertori... Sono così serene
le montagne verso cui ritornano, batte
così leggero il mitra sul loro fianco, al passo
ch'è quello di quando cala il sole, sulle intatte
forme della vita - tornata uguale nel basso
e nel profondo! Aiuto, se ne vanno! Tornano ai loro
silenti giorni di Marzabotto o di Via Tasso...
Con la testa spaccata, la nostra testa, tesoro
umile della famiglia, grossa testa di secondogenito,
mio fratello riprende il sanguinoso sonno, solo
tra le foglie secche, i caldi fieni
di un bosco delle prealpi - nel dolore
e la pace d'una interminabile Domenica...
Eppure, questo è un giorno di vittoria!
Pier Paolo Pasolini Vittoria in Poesia in forma di rosa (1964), Appendice 1964, in Pasolini. Tutte le poesie, Meridiani Mondadori, Milano (2003) p.1267
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