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Jean-Michel Gardair intervista Pier Paolo Pasolini per Trasumanar e organizzar, 1971.

Immagine del redattore: Città PasoliniCittà Pasolini

Pier Paolo Pasolini al Circolo Turati. Milano, 1972 © Letizia Battaglia/Archivio Letizia Battaglia/Tutti i diritti riservati

Nella seguente intervista, originariamente pubblicata nel 1971, Pasolini parla del rinnovamento poetico che ispirò Trasumanar e organizzar.


Il Pasolini cineasta aveva da tempo messo da parte Il Pasolini scrittore. Poi, però, non solo vengono pubblicate una dopo l'altra sei tragedie e una raccolta di saggi, ma con Trasumanare e organizzar si rompe un silenzio poetico che durava da ormai da Poesia in forma di rosa (1964).


Gardair: Questo silenzio era dovuto a circostanze concrete o a qualche "blocco poetico"?


Pasolini: Diciamo che dopo Poesia in forma di rosa ho avuto la sensazione di aver esaurito un certo mondo linguistico, il piacere di certe scelte, di certe parole. Non mi sono reso conto subito, anzi ho cercato prima di tutto di rinnovarmi ad ogni costo, ma per questo la forza di volontà non basta. Non c'è rinnovamento esterno senza rinnovamento interiore. Il tempo è necessario. Così, intanto, ho preferito esprimermi attraverso gli altri: i miei attori, i personaggi delle mie tragedie. E quando, circa due anni fa, ho ricominciato a scrivere poesie, mi sono reso conto che il rinnovamento poetico che avevo sperato e invano perseguito, era avvenuto spontaneamente. La maggior parte delle parole e delle figure che erano alla base della mia precedente poesia erano completamente scomparse da quest'ultima raccolta.


G: Non è dovuto anche ad un allargamento dei tuoi orizzonti culturali?


P: Sai, i miei orizzonti culturali in effetti si sono ristretti. Non sono più il lettore accanito che ero dieci anni fa. Il cinema mi ha reso meno civile, meno colto, come a tutti i cineasti. No, sono solo più vecchio. E ho scoperto che invecchiare significa avere meno futuro davanti, che a sua volta significa essere più liberi. È l'ossessione del futuro che impedisce all'uomo di essere libero. Si crea mille doveri per sottrarsi alla sua intollerabile libertà. Allo stesso modo, è sempre la nozione di futuro che perverte le ideologie, il cattolicesimo così come il marxismo o il liberalismo alla McLuhan, con la sua prospettiva mitica di un benessere indefinito. Quindi per me è stato meno un arricchimento attraverso nuove esperienze e letture che liberarmi dal giovane inevitabilmente ipocrita, ingannevole e senza scrupoli che parlava nelle mie prime poesie.


G: Come si manifesta questa evoluzione nella tua poesia?


P: Prima di tutto, attraverso un certo umorismo. Nei miei film e romanzi precedenti potevano esserci tocchi comici, ma mai umorismo. È dovuto a un fatto che a stento riesco a spiegarmi: avendo perso la maggior parte delle mie illusioni, tuttavia vivo, agisco e scrivo come se le avessi ancora. Ad esempio, anche se non credo più nella rivoluzione, voglio stare dalla parte dei giovani che lottano per essa. Scrivere poesie è un'altra illusione, eppure continuo a scrivere anche se la poesia ha smesso da tempo di essere il meraviglioso mito classico che mi esaltava adolescente. Per un giovane poeta degli anni Quaranta o Cinquanta era impensabile scrivere per i suoi contemporanei: scriveva inevitabilmente per i posteri con tutta la retorica che comporta.



G: In che modo le tue poesie sono formalmente diverse?


P: Sono per lo più scritte nello stile di un diario, poesie come appunti, alcune sincere, dirette, altre in malafede, cioè composte con la sensazione estetica di scrivere appunti.


G: Cosa riguardano?


P: Ho cercato di classificarli io stesso, anche se in realtà sono un unico poema, continuamente ripreso e interrotto. Ma è possibile distinguere tre gruppi relativamente omogenei. Dapprima le poesie "civiche", dedicate ad esempio a papa Pio XII come promotore di una religione vicina all'ideologia hitleriana o al diritto ebraico, fondata sulla fede e sulla speranza ma niente affatto sulla carità; a Panagoulis, all'attacco di Rudi Dutschke, alla morte di Ho Chi Minh e Kennedy. Un secondo gruppo, più decisamente politico, riguarda l'ambiguità che ho appena accennato dei miei legami con la gioventù rivoluzionaria di oggi, il movimento di sinistra, ecc. E un terzo gruppo è un diario della mia vita più intima che ho la sfacciataggine di mostrare fuori in pubblico. Ma, curiosamente, ci sono anche un gran numero di poesie ispirate alla mia amicizia con Maria Callas.


G: Ma per tornare alle tue poesie e per concludere con la domanda con cui avremmo dovuto iniziare, potresti spiegarci il titolo della tua ultima raccolta?


P: Trasumanar è il termine con cui Dante designa l'ineffabilità dell'ascesi mistica del Paradiso. Organizzar è ovviamente il suo opposto caricaturale. Infatti non credo più nelle dialettiche e nelle contraddizioni, ma nelle pure opposizioni. Non pretendo affatto di trascrivere in versi l'ineffabilità che solo la vita ci permette di vivere e di cogliere. E poiché io stesso non sono né un mistico né un santo, non ho alcuna esperienza di cosa possa essere un rapimento al settimo cielo. Ma sono sempre più affascinato dall'unione esemplare compiuta dai maggiori santi, per esempio san Paolo, tra vita attiva e vita contemplativa. Ed è quel doppio volto dell'umano, quella doppia aspirazione dell'immaginario a incarnarsi e riflettersi, che cerco di catturare attraverso queste note strappate dalla mia vita quotidiana.


Jean-Michel Gardair. Intervista a Pier Pasolini (1971) , in Stanford Italian Review, vol. II, n. 2, Autunno, 1982, pp. 46-8. Ora anche Poetry Criticism, edited by Carol T. Gaffke and Margaret Haerens, vol. 17, Gale, 1997. Traduzione Città Pasolini.
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