Roberto Rossellini, Alfredo Bini, Pier Paolo Pasolini e Ninetto Davoli al Festival di Cannes per "Uccellacci e uccellini", maggio 1966 © Farabola/Tutti i diritti riservati
Cannes, 13 maggio.
Atto di contrizione e di resipiscenza: Pier Paolo Pasolini, poeta, romanziere, saggista, regista, intellettuale fra i più ascoltati dei nostri anni, ha spiegato in una conferenza stampa insolitamente affollata i sensi riposti del snio film Uccellacci e uccellini che quest'oggi è stato presentato a Cannes. Un film che ha per personaggi due uomini: Totò. e, nei panni del figlio giovinetto, un oscuro Nino Davoli, che fa il falegname all'Acqua Bullicante (borgata non lontana da Roma).
C'è poi un terzo personaggio, ma questo appartenente al regno animale: un corvo. Un corvo die saltella, petulante, saccente, intorno ai due poveri diavoli di cui s'è detto, e che s'impanca a maestro e guida dei loro passi, e li segue, li stuzzica, li erudisce sul significato della vita e sul destino della società. Un corvo, insomma, di tipo filosofo; anzi, per esser più chiari, della specie che ebbe fortuna in Italia fino a non molti mesi fa. Si può dir che nell'uccellaccio di cui ho detto, Pasolini abbia voluto concentrare la saccenteria di tutta l'intellettualità di sinistra. A dirla in breve: il film finisce in coincidenza con la morte di Togliatti. Totò, in un raptus di saggezza popolana, decide di farla finita con il corvo scocciatore, e gli si avventa al collo per strozzarlo. Ma il corvo all'istante si disintegra: rimane, sul prato, qualche penna, il becco, le due zampe inerti. Che senso ha questo corvo di sinistra?
«È un personaggio autobiografico», dice Pasolini. «Quel corvo sono io. È per questo che, nel creare il film, ho faticato molto e ho perduto alcuni chili di peso». «Di quanto è dimagrito?», m'informo. «Di sette-otto chili», mi ragguaglia Pasolini. Occhiali scuri, ilare e amaro, il nostro scrittore-regista siede accanto al produttore, Alfredo Bini, al padre nobile del neorealismo, Roberto Rossellini, e al comprimario del film. Nino Davoli, che però non parla.
Giornalista: «Ma lei, Rossellini,che fa lì, seduto a quel tavolo? Allora, perché dunque s'è preso la briga di tenere a battesimo quest'opera?»
Rossellini: «Be', si fa molta confusione quando si parla del cinema nuovo. Il cinema deve rinnovarsi non solo nelle tecniche e nel linguaggio ma anche nei contenuti. Il film dell'amico Pasolini è un esempio di cinema nuovo proprio per le cose che dice!»
Giornalista: «Sarà, ma in sala qualcuno protesta. Dice che il film non è affatto chiaro. Morto il corvo qual 'è il testamento?»
Pasolini: «Il mio film finisce con un punto interrogativo.»
Giornalista: «È ambiguo, perciò.»
Pasolini: «Anche la ambiguità è una tecnica narrativa!»
Giovane: «Lo considera progresso o regresso questo strozzamento del corvo?»
Pasolini: «Sempre un esame di coscienza è doloroso. Molta gente non si vuole staccar dalle proprie ideologie perché ogni distacco produce dolore. Ma il mondo cambia, cammina. I due pover diavoli che appaiono nel film mangiano del corvo: qundi qualcosa in loro rimane. Però, che il dubbio abbia preso consistenza è già un fatto positivo, un segno di miglioramento.
In conclusione, del Pasolini dei Ragazzi di vita non rimangono che queste poche penne sparse sul prato, questo becco nero. «E' così», domando a Pasolini. «In un certo senso, è proprio così». E se ne va con Rossellini e con Nino Davoli a rispondere ad altre domande alla televisione. Nino Davoli ha la testa in gran confusione. Il balzo dall'Acqua Bullicante a Cannes è stato uno scossone, per lui. «Io nun m'immaginavo mai di poter fare un film con Totò, con Pasolini. Tutte 'ste cose, me capisce?». «No». «Tutte 'ste cose, insomma. Ma proprio nu me capisce? ». «No». «Be, io faccio er falegname, mi spiego? Mio padre il muratore. Otto anni fa, quando venimmo dalla Calabria, proprio nun ce se pensava che io dovessi finire in cinematografo, in televisione, a Cannes. Me so' spiegato? ». «Perché ride?». «Embé. rido a pensare li miei amichi, quando me vedranno vestito da frate in questo film...».
Gigi Ghirotti. Il regista spiega il suo lavoro «Ho voluto fare un'autocritica» Affollata conferenza-stampa per capire il significato della pellicola. Il personaggio chiave della vicenda sarebbe il corvo petulante e saccente che pretende di fare da maestro ai due fraticelli e finisce per disintegrarsi su un prato - «Quel corvo sono io», riconosce Pasolini, su La Stampa, 14 maggio 1966, p.5.
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