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Pasolini in Ungheria, intervista a Budapest, rivista Filmvilág, 1965.

  • Immagine del redattore: Città Pasolini
    Città Pasolini
  • 13 giu
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 16 giu


Nel gennaio del 1965, Pier Paolo Pasolini si recò a Praga, accompagnato dal suo traduttore Zdeněk Frýbort, per prendere parte a un incontro tra intellettuali italiani e cechi, che si tenne presso il Castello di Dobříš. Per la rivista Filmvilag, il poeta viene intervistato da Gách Marianne. Ecco il testo integrale in italiano.


Pier Paolo Pasolini e Carlo Bernari nei locali della Galleria d'arte moderna durante gli incontri con l'Unione scrittori cecoslovacchi. Data: 08 gennaio 1965 - 15 gennaio 1965. Luogo: Galleria nazionale di Praga, Praga/ Archivio Storico Pci

La visita di Pier Paolo Pasolini a Budapest ha suscitato un interesse che ha superato quello riservato alle più celebri star del cinema. Poeta, romanziere, linguista e regista, Pasolini è una figura poliedrica il cui percorso artistico affonda le radici nella Resistenza italiana. Fin dalla sua prima raccolta poetica, scritta nel dialetto friulano della sua terra natale, ha manifestato una profonda attenzione per le lingue vive. In seguito, trasferitosi a Roma, ha cominciato a dar voce ai personaggi delle borgate attraverso lo slang romano, in una decisa presa di distanza dalla lingua letteraria ufficiale. In questo, lui e Gadda hanno rappresentato una svolta nella letteratura italiana, opponendosi all’artificiosità della lingua standard a favore di una lingua popolare, concreta e dialettale.


L’esordio di Pasolini nel cinema ha segnato una rottura radicale con le convenzioni espressive del tempo: con toni aspri, immagini crude e una voce narrativa inedita, ha conquistato subito l’attenzione come sceneggiatore e successivamente come regista dei propri testi. Il suo film più recente, Il Vangelo secondo Matteo, è stato insignito di sei premi internazionali alla Mostra del Cinema di Venezia del 1964.


Riprendo qui, a Budapest, la conversazione iniziata con lui a Roma. Si discute della recente rinascita del cinema italiano. Pasolini osserva che la cinematografia nazionale ha superato una fase di stallo in cui ci si interrogava sulla sopravvivenza del neorealismo:


“Non è più questo il nodo cruciale oggi” — afferma Pasolini. — “Il neorealismo nacque in un contesto storico specifico: nel secondo dopoguerra, all’indomani della liberazione dal fascismo, l’urgenza era denunciare le ingiustizie sociali. I protagonisti dei film erano gli operai, i proletari italiani. Ma la realtà è mutata. Ora è il Nord industrializzato a essere protagonista.”


Il rapido sviluppo industriale ha spostato l’egemonia economica e culturale dal Sud al Nord, creando un’asimmetria sempre più marcata, quasi coloniale, fra le due aree del paese. Oggi, afferma Pasolini, non sono più Roma o Firenze i centri vitali dell’Italia, ma Milano e Torino. Questo cambiamento strutturale è divenuto evidente agli scrittori solo di recente, proprio mentre il Nord Italia giungeva a una fase tecnocratica e neocapitalista, conquistando in certi ambiti un vantaggio competitivo anche rispetto agli omologhi occidentali.


“Questa evoluzione pone interrogativi profondi sul destino della classe operaia. È un tema che stiamo cercando di analizzare, seppure ancora con strumenti incerti.”


Queste trasformazioni si riflettono inevitabilmente sulla produzione artistica e culturale. Ottiero Ottieri, ad esempio, ha abbandonato le tematiche operaie per esplorare, nel suo ultimo romanzo L’impagliatore di sedie, il mondo della borghesia industriale. Anche Antonioni, con Il deserto rosso, si misura con il paesaggio industriale del Nord.


“Il gigantismo tecnocratico ha effetti evidenti sul sistema nervoso e sull’immaginario collettivo. Cambia i temi del cinema, ma anche il linguaggio stesso. La lingua della grande industria tende a marginalizzare tanto il dialetto quanto la lingua colta. E questa egemonia linguistica si afferma con forza anche nel Nord.”


L’analisi di Pasolini non si limita al presente italiano: si spinge a riflettere sul futuro del cinema e sulla sua capacità di leggere criticamente la realtà, anche attraverso una lente marxista. Quando gli chiedo dei suoi progetti futuri dopo Il Vangelo secondo Matteo, risponde:


“Sto lavorando a un romanzo poetico, che è anche la sceneggiatura di un film. Si intitola Bestemmia. Il protagonista è un santo medievale immaginario: un mendicante, un emarginato, che ha visioni. Non si tratta di una figura storica, ma di un ubriaco che attraversa un’esperienza mistica. Sarà perseguitato dalla Chiesa, e si difenderà fino allo stremo.”


Alla domanda se tale soggetto sarà portato sullo schermo, risponde:


“In origine l’idea era cinematografica. Poi si è trasformata nella sceneggiatura di Il Vangelo secondo Matteo. Quindi, non credo che la filmerò. Se lo farà qualcun altro, non sono affari miei.”


Il prossimo progetto cinematografico di Pasolini sarà ambientato in Africa:


“Partirò a gennaio per scegliere le location e selezionare gli attori. È un’idea che coltivo da tre anni, da quando scrissi la prefazione a un’antologia di poeti afroamericani. Da allora ho approfondito la letteratura africana e vissuto esperienze significative in Kenya. Ciò che ho visto mi ha profondamente colpito: le tradizioni, i riti, la tensione poetica che permea la vita quotidiana.”


Il film, intitolato Il padre selvaggio, sarà interpretato da soli attori non professionisti, ad eccezione di un europeo, un insegnante francese trasferitosi in Africa, che nutre un profondo disprezzo per la civiltà occidentale e sogna di educare i giovani africani al marxismo. Tra i suoi studenti, uno in particolare si distingue: apprende i contenuti dell'insegnamento europeo, ma durante le vacanze, tornato al villaggio natale, si confronta con una realtà arcaica e tribale, governata da un padre-capo ancora legato a rituali ancestrali, violenti e perfino cannibalici.


“Questo trauma — spiega Pasolini — lo conduce a una grave crisi nevrotica. Ma sarà proprio attraverso la nevrosi che troverà una forma di espressione poetica. La poesia diventa per lui una catarsi, un modo per sopravvivere al disorientamento culturale.”


Un progetto ambizioso, come sempre in Pasolini, che cerca nel cinema non un mero intrattenimento, ma uno strumento di ricerca antropologica, storica, esistenziale.



Conversazione con Pasolini a Budapest, intervista a cura di Gách Marianne, in rivista Filmvilag, vol.8, n.02, gennaio 1965, pp.13-14. Fotografie di Fejes László. Traduzione italiano: Silvia Martín Gutiérrez

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