Pasolini e la Mostra di Cinema di Venezia. Da ‘Accattone’ a ‘Porcile’ (1961-1969)
- Città Pasolini

- 30 ago
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9 novembre 1968: la seconda sezione penale del Tribunale di Venezia processa il regista Pier Paolo Pasolini, denunciato dal sostituto procuratore della Repubblica di Roma in quanto autore del film Teorema. I tempi dei processi giudiziari si allungano, e il nuovo film Porcile, proiettato alla Mostra, costituisce un’ottima occasione per attaccare Pasolini. Dall’accusa di oscenità per Teorema verrà assolto il 10 ottobre 1969.
Da quel momento in poi, non presenterà più i suoi film a Venezia. Ripercorrere le visite di Pasolini al Festival di Venezia significa anche viaggiare attraverso i momenti più emblematici del cinema italiano.

Pier Paolo Pasolini al Lido di Venezia nel 1963 © Olycom/Tutti i diritti riservati
Torniamo indietro nel tempo. L’opera di Pier Paolo Pasolini non è mai stata accettata dall’establishment. Sin dall’inizio della sua carriera come scrittore, la creatività pasoliniana, le sue idee scomode e difficilmente assimilabili dal potere, gli procurano varie denunce e circa trentatré procedimenti giudiziari.
Ci spostiamo ora a Venezia, 31 agosto 1961. Accattone, il film d’esordio di Pasolini, viene presentato fuori concorso. È un’opera in cui la diversità e la provocazione autoriale sfidano la morale della classe borghese, mettendo in allarme la censura del Paese. Alle perplessità della commissione selezionatrice della Mostra di Venezia e alle pressioni venute dall’alto segue una faticosa ammissione alla Sezione Informativa. Accattone riscuote un grande successo presso il pubblico presente alla rassegna cinematografica, ma subisce l’opposizione del sottosegretario al Ministero del Turismo e dello Spettacolo del governo Tambroni che, con le sue istanze moraliste, ottiene l’intervento del Ministro del Turismo.
Il risultato di tutto ciò è inquietante: il film viene distribuito nei cinema italiani con divieto eccezionale ai minori di anni 18, malgrado il divieto giuridicamente imponibile riguardi i minori di anni 16.

Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini e Carlo Levi alla conferenza stampa per Accattone nel Festival di Venezia (1961) © Archivio Giancolombo/Tutti i diritti riservati
Poteva questo film turbare i giovani? Difficile a dirsi… Lo scopo reale della denuncia era attuare, contro Pasolini, l’ennesima censura, contro la quale si schierò apertamente Federico Fellini. Nelle parole di Fellini:
“Siamo davanti a un film profondamente umano e profondamente cristiano, quindi queste perplessità della censura non capisco a che cosa possano approdare, tranne a farne sortire l'ennesima brutta figura.”
Alla chiusura dell’evento, Pasolini dichiarò:
“Non mi resta veramente che ringraziarvi con tutto il cuore. Io quello che ho potuto fare l’ho fatto. Io penso ai prossimi film.”

Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini e Alfredo Bini durante la conferenza stampa contro la censura di Accattone. Roma, 1961 © Archivio Storico Istituto Luce Cinecittà srl/Tutti i diritti riservati
31 agosto 1962: per la prima volta nella storia delle rassegne cinematografiche internazionali, un film presentato alla Mostra di Venezia subisce una denuncia. Questo film è Mamma Roma.
Il comandante del nucleo carabinieri di Venezia dichiara di aver visto, nella sala del Palazzo del Cinema del Lido, il film di Pasolini e di aver ravvisato offese al buon costume, un linguaggio offensivo del comune senso della morale, contenuto osceno e contrario alla pubblica decenza. Sporge quindi denuncia al procuratore della Repubblica della città per gli interventi del caso.
Il pubblico mondano del Palazzo del Cinema è turbato e infastidito dall’ambiente sottoproletario del film. Alla fine della proiezione, fischi e proteste. Alcuni cronisti del Festival, abituati alle conferenze stampa di belle attrici e ricchi produttori, sono infastiditi dalla presenza al Lido della troupe di Mamma Roma. La presenza di Franco Citti, Ettore Garofolo e Piero Morgia sembra una sorta di violazione, un sacrilegio. Seguono cronache e resoconti gonfi di razzismo.
Dice Pasolini:
“Io non posso permettermi di sbagliare un'opera; sono ridotto a questo. Non sbagliare è un dovere che ho davanti a nemici e amici: i primi mi sbranerebbero, i secondi mancherebbero immediatamente di un'arma di difesa nei miei riguardi. Sento che la fine di Mamma Roma sia la mia fine… Le masse sono spietate. Sono come dei re. E io, di fronte a questi re, ormai, sono un po' come un giullare che, se sbaglia un motto, viene condannato a morte."

Anna Mangani, Pier Paolo Pasolini, Ettore Garofolo e Franco Citti al Festival di Venezia per il film Mamma Roma (1962) © Archivio Giancolombo/Tutti i diritti riservati
La vicenda non si chiude qui: i benpensanti locali inviano alla Biennale lettere di protesta contro Mamma Roma, quasi tutte anonime, zeppe di insulti e minacce. Le pressioni, le minacce e gli insulti organizzati ad arte non hanno successo: il 5 settembre 1962 il magistrato giudica infondata la denuncia contro Pasolini.
La sera del 4 settembre 1964, Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini arriva alla Mostra di Venezia. Sin dal tardo pomeriggio, volantini con oscenità e insulti vengono distribuiti al Lido dai neofascisti. Sono gli stessi che più tardi tenteranno di aggredire, all’ingresso del Palazzo del Cinema, Pasolini e il pubblico. Questo film provoca immediatamente un caso di confusione isterica e paranoia collettiva. Il Cristo pasoliniano risulta molto scomodo: basta dare un’occhiata alla stampa per farsi un’idea della follia scatenata con quest’opera.

Pier Paolo Pasolini ed Enrique Irazoqui al Festival di Venezia per il film Il Vangelo secondo Matteo (1964) © Archivio L'Unità/ Tutti i diritti riservati
Pasolini, con la dirompente e inarrestabile forza creativa delle sue opere, si impone, scompone e scompiglia costantemente qualsiasi presa di posizione. Dopo Il processo alla Ricotta, film accusato di vilipendio alla religione dello Stato, arriva al Festival cinematografico di Venezia Edipo re, film che subisce l'ennesimo linciaggio da parte della stampa dell'epoca. Le critiche dimostrano la rozzezza e l'anacronismo degli argomenti impiegati nei confronti di Pasolini. Egli è pienamente consapevole di questa situazione: la critica del suo Paese non si dimentica mai di lui, nel suo continuo affrontare le sue opere.

Pier Paolo Pasolini, Franco Citti e Ninetto Davoli nel Festival di Venezia per Edipo re (1967) © Graziano Arici/ Tutti i diritti riservati
L’accidentato iter di Teorema inizia con la sua partecipazione alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia del 1968. Un'edizione caratterizzata dalla contestazione dell'ANA (Associazione Nazionale Autori Cinematografici) contro i vetusti meccanismi di competizione, i criteri di giudizio e di selezione dei film previsti dallo statuto della Biennale, stilato in epoca fascista, e la riduzione del Festival a un costosissimo appuntamento mondano, a discapito del suo livello culturale. Pasolini, che inizialmente non aderisce alla protesta perché ritiene che non sia espressa nella dovuta forma, il 20 agosto decide di schierarsi al fianco dei colleghi.
A causa del clima incandescente creato da alcuni autori che minacciano di ritirare i propri film dal concorso, l’inaugurazione della manifestazione viene posticipata e la Sala Volpi è temporaneamente utilizzata come luogo di riunione permanente dai contestatori. Il 26 agosto, dopo aver intimato un ultimatum, la polizia procede allo sgombero dei cineasti rimasti in assemblea: tra questi, Francesco Maselli, Cesare Zavattini e Pasolini, i quali, trasportati fuori dal cinema con la forza, riescono a sottrarsi con fatica al linciaggio da parte di una folla di facinorosi di destra.

Pier Paolo Pasolini durante i dibattiti nella 29 ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia © Graziano Arici/ Tutti i diritti riservati
Il 4 settembre, nonostante l’opposizione del regista che esorta i giornalisti a uscire insieme a lui dalla sala, Teorema, per decisione del produttore Franco Rossellini, viene presentato come da programma prima alla stampa e poi al pubblico, spaccando la giuria e rischiando anche di vedersi attribuito il Leone d'Oro.
Il film viene attaccato con violenza da ogni parte: dallo Stato, che lo pone immediatamente sotto sequestro per oscenità, tentando un processo nei confronti dell'autore e dei produttori. L'ordine di sequestro verrà poi annullato da una sentenza del 23 novembre 1968 che recita: "Lo sconvolgimento che Teorema provoca non è affatto di tipo sessuale, è essenzialmente ideologico e mistico. Trattandosi incontestabilmente di un'opera d'arte, Teorema non può essere sospettato di oscenità". Tuttavia, gli strascichi giudiziari, con i ricorsi processuali, si protrarranno fino quasi al 1970.
I benpensanti e le destre, accomunati dal disgusto per l'uso, a loro parere, spregiudicato e perverso della sessualità, attaccano duramente il film. La critica della sinistra militante accusa il film di “misticismo”, “reazionarismo” e “religiosità”. Il mondo cattolico, dopo aver insignito il film a Venezia del premio dell’Office Catholique International du Cinéma, deplora, attraverso un duro articolo di condanna comparso sull’Osservatore Romano, lo scandaloso accostamento tra sessualità e senso del sacro.
Si può dunque sostenere che Teorema segni un’ulteriore tappa nel progressivo e totale isolamento intellettuale di Pasolini.

Il 30 agosto 1969 viene proiettato alla Mostra del Cinema Porcile, il che offre un'ottima occasione per ricevere insulti di tutti i tipi. Ma il regista non sarà presente al Festival: Pasolini voleva completamente snobbare Venezia.
Ma la cosa non finisce qui. Giovanni Longo di Nicolosi (Catania), allevatore di ovini, denuncia Pasolini e il produttore Gianvittorio Baldi come responsabili della morte di cinquanta pecore. Longo asserisce che, la notte tra il 24 e il 25 novembre 1968, incontrò, da Serra La Nave di Nicolosi, un branco di cani affamati e infreddoliti. Dopo essere stati liberati il giorno precedente, al termine delle riprese di Porcile, i cani si erano introdotti nell'ovile, ammazzando cinquanta pecore. Il procedimento legale dura cinque anni. Il 20 novembre 1971, il Tribunale civile di Catania respinge la richiesta di risarcimento danni.
“Dicevo più sopra come la morte operi una rapida sintesi della vita passata, e la luce retroattiva che essa rimanda su tale vita ne trasceglie i punti essenziali, facendone degli atti mitici o morali fuori tempo. Ecco, questo è il mondo con cui una vita diventa una storia.”
Silvia Martín Gutiérrez. Tratto da "Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte", a cura di Laura Betti, Garzanti, 1977.


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